InTema n.13 – I primi due anni del presidente Mattarella

Il 31 gennaio 2015 Sergio Mattarella è stato eletto presidente della repubblica. Prima di lui 12 persone hanno ricoperto questo ruolo. I due anni di mandato dell’attuale presidente sono occasione per osservare, con i dati, alcune delle azioni tipiche e delle prerogative del capo dello stato e vedere come sono state espresse in passato e oggi.

I discorsi di fine anno dei presidenti della repubblica

Uno dei pochi momenti di contatto tra il capo dello stato e i cittadini è il tradizionale discorso agli italiani con cui, ormai da 68 anni, i presidenti della repubblica fanno gli auguri di fine anno al paese.

Il primo fu quello di Luigi Einaudi nel 1949, nel secondo anno del suo mandato. La costituzione non prevede né questo discorso né altri tipi di comunicazione del presidente della repubblica rivolti al popolo: gli articoli 74 e 87 prevedono solo l’invio di messaggi alle camere. Nel dibattito tra giuristi questa pratica, tesa ad avvicinare la massima carica dello stato ai cittadini, è stata oggetto di critiche. Secondo alcuni sarebbe poco in linea con una forma di governo parlamentare, in cui il capo dello stato non è in relazione diretta con il popolo.

Sta di fatto che l’appuntamento di fine anno è stato sempre rinnovato, e man mano che la pratica si è consolidata i discorsi, all’inizio molto brevi, sono diventati più lunghi. 

Il discorso di fine anno più lungo della presidenza Einaudi è stato di sole 256 parole, dunque molto breve; il  discorso di Scalfaro del 1997 arrivò invece a 4.912 parole. Con il tempo sono stati inseriti argomenti più politici, assenti nei primi anni. Per esempio nel suo primo discorso Einaudi si limitava a citare i «gravi problemi che tuttora attendono soluzione» e «l’opera della ricostruzione», affermando il carattere generale delle sue parole nella conclusione: «Tale sono sicuro è il comune voto». Invece non è passato inosservato nell’ultimo discorso di Mattarella il riferimento all’«esigenza di approvare una nuova legislazione elettorale».

Mentre i discorsi diventavano man mano più lunghi, la loro struttura andava semplificandosi, sia nella lunghezza delle frasi sia nel linguaggio. Se il primo discorso di Einaudi iniziava con «Nel rigoglio di intimi affetti suscitato da questa trasmissione […]» il discorso di Scalfaro del 1992 apriva con un molto più informale «Buona sera a tutti, buon anno!».

Quanto al numero di parole e caratteri per frase, dai grafici risulta evidente la tendenza alla semplificazione. Frasi più lunghe ritornano però negli anni ottanta con la presidenza Cossiga e in parte durante gli anni di Napolitano, anche se in maniera meno marcata.

Tra le varie competenze del presidente della repubblica alcune possono essere tracciate grazie ai dati forniti da fonti istituzionali. Tra queste si trovano alcuni tipi di nomina, l’esercizio del potere di grazia e il conferimento di onorificenze.

Il potere di nomina: giudici costituzionali e senatori a vita

Nel nostro paese le competenze del capo dello stato possono essere formali, sostanziali o complesse. Tra i poteri formali rientra la nomina di alcuni funzionari dello stato, di fatto un atto governativo in cui il presidente si limita alla firma dell’atto. Il potere di nomina del governo rientra invece tra i poteri del presidente della repubblica definiti complessi. Secondo la costituzione il capo dello stato «nomina il presidente del consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri». La discrezionalità del presidente della repubblica su questo tema però dipende molto dal contesto politico parlamentare. Spesso si tratta di una scelta obbligata, altre volte di una scelta discrezionale ma sempre condizionata dalla necessità di ottenere il voto favorevole del parlamento. In nemmeno due anni Mattarella ha già dovuto gestire una crisi di governo, accettando le dimissioni di Renzi e nominando Gentiloni alla presidenza del consiglio. D’altronde è nota la frequenza con cui nel nostro paese cambiano gli esecutivi, basti pensare che i presidenti LeonePertini nominarono ciascuno otto presidenti del consiglio durante i loro mandati.

Infine ci sono i cosiddetti poteri sostanziali, cioè gli atti di competenza esclusiva del presidente, di cui fanno parte le nomine dei senatori a vita e dei giudici costituzionali. Sull’incarico ai giudici costituzionali non ci sono particolari problemi interpretativi: in genere si ritiene che il presidente della repubblica li scelga in funzione di riequilibrio rispetto alle scelte del parlamento. Ad oggi il presidente Mattarella, egli stesso membro della corte prima dell’elezione al Quirinale, non ha ancora nominato alcun giudice. Imprevisti a parte, la prima nomina di Mattarella dovrebbe avvenire all’inizio del 2018, quando scadrà il mandato del presidente della corte Paolo Grossi.

L’art. 59 della costituzione, che regola la nomina dei senatori a vita da parte del presidente, è invece stato interpretato in maniera diversa dai vari inquilini del Quirinale, soprattutto in passato. In effetti il testo dell’articolo non è del tutto chiaro quando afferma che il presidente «può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la patria nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario». Sia Pertini che Cossiga diedero un’interpretazione estensiva di questa norma nominando cinque senatori a vita ciascuno, indipendentemente dal loro numero complessivo. L’interpretazione più comune prevede invece che i senatori a vita di nomina presidenziale siano cinque in totale e che i presidenti della repubblica si limitino a sostituirli quando uno di questi viene a mancare.

Il grafico evidenzia la sproporzione numerica tra le nomine di senatori dei vari presidenti. Da notare che la presidenza di De Nicola, dopo l’entrata in vigore della costituzione, è durata pochi mesi. Einaudi invece ne nominò ben otto ma progressivamente, rispettando quindi il principio per cui nel complesso non dovessero essere più di cinque. A parte De Nicola, solo Scalfaro e, per ora, Mattarella non hanno nominato senatori a vita . Scalfaro ne trovò già otto in carica all’inizio del suo mandato, e forse non ne nominò altri per un ritorno all’interpretazione restrittiva della norma costituzionale.

Anche Ciampi e Napolitano hanno nominato cinque senatori ciascuno, senza comunque superare il massimo di cinque in carica contemporaneamente. Attualmente i senatori a vita di nomina presidenziale sono quattro. Il fatto che finora il presidente Mattarella si sia astenuto da questo tipo di nomina è forse legato al progetto di riforma costituzionale. Se la riforma Renzi-Boschi fosse andata in porto, infatti, la disciplina sui senatori a vita sarebbe cambiata, e si può quindi supporre che il presidente abbia voluto attendere l’esito delle riforme prima di fare una scelta.

Dunque il capo dello stato può nominare senatori a vita cinque cittadini che abbiano dimostrato importanti meriti «nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario». Per come è formulato l’articolo sembra evidente che la nomina di senatore a vita sia stata concepita per personalità di alto profilo esterne alle quotidiane dispute della politica. Negli anni però i cosiddetti meriti sociali sono diventati quasi un sinonimo di meriti politici. Infatti dei 22 senatori a vita tra i cui meriti rientrano quelli in campo sociale ben 18 (81,1%) hanno precedentemente avuto incarichi politici.

Il potere di concedere la grazia

Tra i poteri formali e sostanziali del presidente della repubblica rientra anche quello di concedere la grazia, come ha precisato la corte costituzionale in una sentenza del 2006. Il problema si era posto a causa del rifiuto dell’allora ministro di giustizia Castelli a mettere in pratica un atto di grazia del presidente Ciampi nei confronti di Ovidio Bompressi. La legge infatti stabilisce una sorta di condivisione di competenze tra ministero e presidenza (art.681 cpp) da cui Castelli aveva dedotto che la responsabilità di formulare la proposta di grazia spettasse al ministro.

La corte però ha respinto questa interpretazione stabilendo l’obbligo del guardasigilli di portare a conclusione la pratica nel caso in cui sia richiesta dal capo dello stato. In questo caso i ruoli formali e sostanziali si ribaltano rispetto a quanto succede solitamente. L’attività del ministro si configura come atto dovuto nei confronti di una prerogativa del capo dello stato.

Quello della grazia è un potere molto antico nella tradizione giuridica, con il quale possono essere estinte in tutto o in parte le pene, oppure possono essere convertite in misure diverse (art. 174 c.p.). Come ha ricordato la corte, sempre nella sentenza del 2006, la natura di quest’atto si è evoluta negli anni, in particolare da quando nel 1986 è stata varata la legge Gozzini. Con questa legge si iniziò un percorso legislativo per fornire misure alternative alla detenzione e in generale alla riabilitazione del condannato. A quel punto veniva quindi meno la necessità di usare lo strumento della grazia per numerosi condannati, che avrebbero invece potuto usufruire delle novità previste dalla legge. Non a caso proprio dopo il 1986 i provvedimenti di grazia sono drasticamente diminuiti. Dei 1.395 atti di clemenza emanati dal presidente Cossiga ben 1.003 sono del 1986, mentre solo 104 sono del 1987: una tendenza alla diminuzione che è stata poi consolidata negli anni successivi.

Dai dati presenti nel grafico saltano agli occhi i 15.587 provvedimenti varati dal presidente Einaudi, i quali vanno però valutati considerando il particolare periodo storico caratterizzato dalla fine della guerra e del regime fascista.

Le onorificenze della repubblica

Quello di conferire onorificenze è invece un potere in gran parte formale del capo dello stato, quasi sempre sono i ministeri a definire gli elenchi degli insigniti. Sono diverse migliaia ogni anno le decorazioni concesse a vario titolo, anche se di recente si registra un notevole calo. Nel 2002 infatti la presidenza del consiglio ha richiesto ai ministeri di ridurne il numero in modo da mantenerne alto il prestigio. Il sito del Quirinale specifica che i dati su alcune onorificenze sono pubblicati a partire dal 1991. Tuttavia, data la drastica riduzione degli ultimi anni, sorge il dubbio che l’aggiornamento non sia completo.

Tra le varie onorificenze ci sono quelle degli ordini cavallereschiIl primo è quello al merito della repubblica italiana, istituito per legge nel 1951 in sostituzione dei soppressi ordini sabaudi. La scelta dei cittadini a cui riconoscere questo titolo spetta alla presidenza del consiglio. Si accede all’ordine con la qualifica di cavalieri e, per meriti successivi, si può essere promossi a ufficiale, commendatore, grande ufficiale e infine cavaliere di gran croce. Gli altri ordini funzionano per lo più nello stesso modo con ministri diversi a proporre le nomine e gradi specifici per ogni ordine.

Altri tipi di riconoscimenti sono le medaglie e le croci che possono essere d’oro, d’argento o di bronzo. Le selle del lavoro invece non prevedono classi o gradi. Infine ci sono gli attestati e i diplomi di benemerenza, i primi riferiti alla sanità pubblica i secondi all’istruzione. Questi ultimi sono divisi in prima seconda e terza classe.

Per approfondire: