Il taglio delle spese per la cultura

Dopo la crisi le maggiori città italiane hanno sacrificato le uscite a favore di attività artistiche e culturali, a eccezione di Firenze, Trieste e delle città del sud. Palermo è quella che ha aumentato di più questo tipo di spese. Ma nonostante i progressi, lo squilibrio nord-sud resta ampio.

L’Italia è un paese ricco di patrimonio culturale, diffuso tra privato e pubblico. E al settore pubblico spetta la prerogativa di valorizzare i beni e promuovere la politica culturale. Attività che non sono svolte solo dallo stato. Anche i comuni contribuiscono a rendere accessibile la cultura e a diffonderla: mantenendo biblioteche, musei e teatri di loro proprietà, oppure organizzando eventi e manifestazioni.

Questo ruolo pubblico negli anni è stato più volte messo in discussione, in particolare a seguito della crisi economica. Celebre la dichiarazione dell’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti:

«Per alleviare le umane sofferenze dell’amico Sandro [ndr Bondi, all’epoca ministro della cultura] vorrei rammentargli che in tutta Europa, anche a Parigi e Berlino, stanno tagliando i fondi alla cultura. È molto triste, una cosa terribile, lo capisco. Ma vorrei informare Bondi che c’è la crisi, non so se gliel’hanno detto: non è che la gente la cultura se la mangia»

Attraverso openbilanci.it si può constatare che – anche a livello locale – quella presa di posizione non è rimasta solo sulla carta. Tanti comuni italiani, forse in molti casi stretti tra la necessità di far fronte ai tagli e quella di tutelare le esigenze sociali emerse con la crisi, hanno sacrificato le spese per la cultura. La tendenza generale osservabile nelle maggiori città italiane lo conferma.

In realtà un calo iniziale si rileva già prima della crisi economica. Nel 2005 la spesa mediana in cultura delle città con più di 200mila abitanti era di 71,5 euro per ogni abitante; poi, dopo due anni di flessione, risale fino ai 77 euro pro capite del 2009. È proprio dal 2010 che assistiamo all’inizio di un declino inarrestabile. Record negativo nel 2014, quanto la spesa culturale mediana delle città maggiori scende a 61 euro per abitante.

In questo trend generale, però, ci sono delle eccezioni. Tra le 14 maggiori città italiane, sono 6 quelle che nonostante la crisihanno aumentato la loro spesa culturale anche dopo il 2010. Tra queste spiccano, oltre a Firenze e Trieste, le maggiori città del sud: Palermo, Bari, Catania e Napoli.

In particolare la prossima capitale italiana della cultura nel 2018, Palermo, è la città che ha aumentato di più la spesa in cultura tra 2010 e 2014 (+ 81,8%) , seguita da Firenze (+ 80%). A doppia cifra anche gli aumenti di Bari (+ 25%) e Catania (+ 16,7%). Questi dati, uniti a quello di Napoli, segnalano una controtendenza del mezzogiorno rispetto ai tagli sulla cultura avvenuti in altre grandi città italiane.

Una politica che però non sembra essere stata sufficiente a ridurre la distanza tra nord e sud. Nonostante le scelte degli ultimi anni, il divario resta molto ampio. Se isoliamo le spese per la cultura nel solo 2014, la classifica delle città maggiori mostra agli ultimi posti quelle meridionali.

I principali centri italiani del mezzogiorno si trovano agli ultimi posti, con una spesa attorno ai 20 euro per abitante per Catania, Bari e Palermo – mentre Napoli si colloca sui 15 euro a persona. Al vertice della classifica 2014 la città che – insieme al capoluogo siciliano – ha avuto il maggiori incremento negli anni della crisi: Firenze, con oltre 162 euro per abitante.

Scarica le classifiche regione per regione:

Abruzzo
Basilicata
Calabria
Campania
Emilia Romagna
Friuli Venezia Giulia
Lazio
Liguria
Lombardia
Marche
Molise
Piemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Trentino Alto Adige
Umbria
Valle d’Aosta
Veneto

Spese in cultura di tutti i comuni italiani, per anno:

2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014

Per approfondimenti:

6 pensieri su “Il taglio delle spese per la cultura

  1. Andrea Barbon

    Grazie per il post, molto interessante. Dovreste però essere più trasparenti sulle fonti utilizzate. Capisco che i dati arrivano da openbilanci, ma sarebbe utile capire che percentuale dei Comuni sono coperti dai dati. Inoltre, sarebbe bellissimo avere un link al dataset, in modo tale che chiunque possa provare a riprodurre lo studio e/o ad aggiungere qualcosa. In questo caso, ad esempio, calcolerei la spesa media (non solo mediana) e costruirei un confidence interval. Grazie mille, continuate così!

    1. openpolis

      Buongiorno Andrea e grazie per l’apprezzamento. La fonte dei dati che trovi su openbilanci.it è la direzione finanza locale del ministero dell’interno: http://finanzalocale.interno.it/apps/floc.php/in/cod/4
      Tutti i comuni italiani inviano lì i loro certificati preventivi e consuntivi, che noi successivamente importiamo su openbilanci.it. Le nostre elaborazioni sono fatte a partire dalle classifiche dei comuni oltre 200mila abitanti.
      La scelta della spesa mediana anziché media è per avere una tendenza meno condizionata da eventuali outliers.

        1. openpolis

          Da openbilanci si possono scaricare i dati del singolo comune: in alto a destra nella pagina dell’ente cliccando su “scarica i dati csv”

          1. Andrea Barbon

            Sì, questo mi era chiaro. Ma visto che non è possibile scaricarli tutti insieme, sarebbe utilissimo se metteste a disposizione il dataset che avete usato per lo studio, con tutti i comuni del sample. Mi permetterebbe di replicare i vostri risultati senza dover spendere ore a scaricare i CSV dei singoli comuni

          2. stefano

            cari openpolis, anche a me risulta un po’ incomprensibile che non consentiate di scaricare l’intera serie di dati che avete utilizzato: vi chiamate open, mica hidden!

I commenti sono chiusi.