I paesi in Europa che hanno un registro delle lobby

In Italia non ci sono regole, ma la nostra situazione non è un’eccezione. Solo 6 dei 28 paesi dell’Unione europea hanno un registro obbligatorio per le lobby. Nonostante il peso crescente dei portatori di interessi nelle dinamiche politiche, molta strada resta da fare per una piena trasparenza.

L’Italia non è l’unica nazione europea in cui non c’è una legge che regola il lavoro delle lobby. Da uno studio di aprile 2016 redatto dal servizio di ricerca del parlamento europeo intitolato “Transparency of lobbying in Member States”, risulta che su un totale di 29 (di cui 28 stati membri più l’Unione europea), sono solo 6 i paesi in cui le organizzazioni di lobbying hanno l’obbligo di accreditarsi presso un registro nazionale (20,69%). Si tratta di Austria, Irlanda, Lituania, Polonia, Regno Unito e Slovenia. A questi bisogna aggiungere altri due paesi (Germania e Francia) e l’Unione europea stessa, in cui l’iscrizione al registro non è obbligatoria.

La materia però negli anni recenti ha subìto notevoli sviluppi, con la nascita di diverse forme di regolamentazione (nazionali e non). Lo studio ci permette di vedere, paese per paese, alcuni aspetti fondamentali: presenza o assenza di legislazione nazionale, di un codice di condotta per i lobbisti e di un registro, l’obbligatorietà dell’iscrizione e la portata della normativa (cioè quanti tipi diversi di organizzazioni sono incluse).

Un aspetto importante è quello dei codici etici di comportamento per i lobbisti, presenti nel 20,69% dei casi. Questo documento ha lo scopo di regolare il comportamento di queste organizzazioni all’interno delle istituzioni con cui interagiscono, e di individuare valori fondanti e regole della professione. Un esempio è l’attuale codice presso il registro per le lobby dell’Unione europea.

A prescindere dalle eventuali azioni specifiche da parte dello stato, a volte si registrano anche situazioni autoregolamentate, in cui attori della società (anche coinvolti in prima persona) decidono di riempire il gap normativo. 

Nel 31,03% dei casi si rintracciano iniziative di autoregolamentazione, dalle proposte della società civile alle unioni di lobby, che decidono di stipulare un codice indipendente colmando una lacuna statale. Nel caso italiano, come citato nel rapporto, abbiamo il codice di comportamento stipulato dalla Federazione relazioni pubbliche italiana (Ferpi)

Per approfondire: