Solo il 4% dei detenuti partecipa a corsi professionali

Non solo il nostro sistema penitenziario non rieduca, come vorrebbe la costituzione. Ma la situazione è anche peggiorata rispetto agli anni novanta. Da allora la formazione risulta dimezzata, e oggi solo il 30% dei carcerati lavora. Tutti i dati sulla scarsità di attività utili al reinserimento sociale.Secondo una concezione molto vecchia ma ancora presente, il carcere è pensato solo come un luogo di espiazione inattiva della pena. Sono ancora pochi i casi in cui la detenzione è anche occasione per formare e rieducare il condannato, come vorrebbe l’articolo 27 della costituzione. E i dati del ministero della giustizia lo mostrano chiaramente.

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Meno di 30 detenuti su 100 svolgono un lavoro durante la pena . Gli altri 70 restano inoperosi, senza che sia offerta loro la possibilità di imparare un lavoro. Questa quota peraltro è più bassa rispetto a quella dei primi anni ’90: nel 1991 lavorava circa un terzo dei detenuti. 

Dagli anni ’90 la quota è scesa costantemente (il dato 2007 è alterato per effetto dell’indulto del 2006) e solo negli ultimi anni, con la riduzione della popolazione carceraria, è tornato a salire. Nel periodo di massimo sovraffollamento, tra 2010 e 2012, appena il 20% dei detenuti lavorava.

Vediamo di cosa si occupano i pochi che lavorano e quali mestieri possono apprendere.

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Il settore con più occupati è quello della produzione e riparazione di capi di abbigliamento, seguito dall’assemblaggio di componenti, falegnamerie, panifici e call center. Ma complessivamente è occupato solo l’81% dei posti di lavoro che sarebbero disponibili. In alcune produzioni, come le lavorazioni metalmeccaniche, il 58% dei posti di lavoro disponibili non risulta occupato.

Il nostro sistema penitenziario non sembra molto capace non solo di mettere al lavoro, ma anche di insegnare un qualche mestiere. Il dato sulla formazione professionale lo evidenzia bene.

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Rispetto agli anni ’90 si è dimezzata la percentuale di detenuti che frequentano i corsi professionali . Era l’8,3% nel 1992, contro il 3,6% del 2015. Numeri talmente bassi da mettere in forte dubbio la capacità rieducativa delle nostre carceri. Anche in presenza di un dato positivo, come l’aumento dei promossi, che oggi sono oltre l’80% dei partecipanti ai corsi di formazione.

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