Cosa prevede la legge elettorale transitoria per il senato – speciale referendum

Le regole stabiliscono che i consiglieri regionali votino liste formate da loro colleghi e da sindaci. I seggi verrebbero attribuiti con il sistema proporzionale. E le coalizioni in ciascuna regione potrebbero eleggere senatori espressione di maggioranze politiche anche molto diverse.

Se il quesito sarà confermato nel referendum del 4 dicembre, la riforma costituzionale entrerà in vigore. Questo però non significa che la camera e il senato attuali verrano sciolti subito: la legislatura in corso proseguirà fino a nuove elezioni (anticipate o ordinarie che siano).

Alla scadenza della legislatura il presidente della repubblica scioglierà entrambe le camere, ma indirà le elezioni solo per quella dei deputati. Entro dieci giorni dalla prima riunione della neoeletta camera dei deputati, dovrà costituirsi il senato. La riforma stabilisce una legge transitoria per eleggere i senatori, che dovrà essere sostituita con una definitiva entro 6 mesi dalle prime elezioni della camera con la nuova costituzione. Ma non si tratta di un termine perentorio, quindi la legge attuale – in mancanza di accordo per riformarla – potrebbe anche restare per un tempo superiore. Vediamo come funziona.

L’elezione, come da riforma costituzionale, spetta ai consigli regionali. I partiti (da soli o in coalizione) formano delle liste in cui sono candidati insieme sindaci e consiglieri regionali. Ogni consigliere regionale sceglie la lista che preferisce tra quelle candidate; queste sono bloccate: i candidati passano nell’ordine in cui sono presentati. I seggi vengono attribuiti alle liste con metodo proporzionale, ovvero in proporzione ai voti ricevuti.

Dal momento che ogni regione elegge un solo sindaco, passa quello della lista più votata. Se l’incarico di un sindaco o di un consigliere arriva a termine o viene interrotto in anticipo, termina anche l’incarico di senatore; in questo caso viene proclamato eletto rispettivamente o il sindaco primo non eletto della stessa lista. Se invece viene sciolto l’intero consiglio regionale, quello di nuova elezione voterà tutti i senatori della regione.

Sarà interessante capire che aspetto avrà il senato che uscirà da questa legge elettorale. Un’ipotesi è che le coalizioni al governo di ogni regione presentino liste comuni, in modo da esprimere dei senatori coerenti con la loro attività a livello regionale. Ad oggi il centrosinistra controlla 16 regioni su 20, ma con coalizioni molto diverse.

In Toscana il Pd controlla giunta e maggioranza consiliare con un monocolore, in Trentino Alto Adige è alleato di partiti regionalisti. In Marche, Campania, Basilicata, Sicilia i democratici sono coalizzati con i centristi, mentre in Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Umbria con la sinistra. Il Pd governa con un centrosinistra “allargato” a centristi e sinistra in 7 regioni, ovvero Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria, Sardegna.

Un ragionamento analogo vale per il centrodestra: in Veneto governa con un formato ristretto a Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia, mentre in Lombardia e Liguria comprende anche i centristi. 

Quindi le coalizioni di centrosinistra e centrodestra potrebbero eleggere, a seconda del contesto regionale, senatori espressione di maggioranze politiche molto variegate, e – a livello nazionale – anche in contrasto tra loro.

Questo aspetto si ricollega a un punto non stabilito dalla riforma: i senatori si aggregheranno in base all’appartenenza politica (come oggi) oppure seguendo la provenienza territoriale? Sarà il futuro regolamento del senato a dirimere la questione. Inoltre sarà interessante capire come la disciplina di partito si concilierà con il mandato politico espresso a livello regionale, nel caso in cui la posizione nazionale di una forza politica sia difforme da quella assunta a livello locale. Una possibilità è che i senatori finiscano con il seguire l’orientamento della regione che li ha eletti, visto che la camera – sulla stragrande maggioranza delle leggi – manterrà comunque l’ultima parola. Quindi al senato uno stesso partito potrebbe esprimere posizioni opposte a seconda dell’appartenenza territoriale: che è un po’ la dinamica che si riscontra oggi nel parlamento europeo, tra gruppi continentali (popolari, socialisti, liberali e verdi) e le loro delegazioni nazionali.

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