Napoli, +105,86% di pressione fiscale in dieci anni

Tra le quattro città più popolose d’Italia, Napoli è quella in cui la pressione fiscale è cresciuta di più negli ultimi dieci anni. I napoletani pagavano in media 423 euro a testa nel 2005, mentre nel 2014 hanno pagato 870,76 euro. La ragione è, ancora una volta, da attribuire più alle dinamiche nazionali che a quelle locali. Le manovre economiche degli ultimi anni hanno riequilibrato le differenze tra le diverse città nella gestione del fisco.

Nel 2005, i milanesi pagavano oltre il doppio di tasse e imposte locali rispetto ai napoletani (861euro pro capite contro 423). Dieci anni dopo, nel 2014, la differenza si è ridotta considerevolmente: 975,54 euro pro capite a Milano contro 870,86 a Napoli. L’inasprimento fiscale successivo alle manovre economiche degli ultimi anni è stato generalizzato, ed ha ridotto le differenze tra i comuni. Vediamo nel dettaglio l’andamento della pressione fiscale nell’ultimo decennio nel capoluogo campano.

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Negli anni dell’abolizione dell’ici sulla prima casa, la pressione fiscale pro capite è scesa fino a 315,24 euro nel 2009. Tra 2010 e 2011 l’innalzamento è stato drastico: da 365 a 830 euro, +127% in un solo anno. Anche negli anni successivi il livello si è attestato sopra o attorno agli 800 euro pro capite.

In un contesto simile, è evidente che la pressione fiscale media annua con Jervolino (che ha governato durante gli anni di abolizione dell’ici prima casa) sia più bassa che durante De Magistris, che ha cominciato il suo mandato proprio nell’anno di introduzione dell’imu. In media, con Jervolino i napoletani hanno pagato all’anno 376,19 euro a testa, mentre con De Magistris circa 839 euro pro capite. Negli anni della sindaca, la pressione fiscale a Napoli era più bassa del 20% rispetto alle città con più di mezzo milione di abitanti; durante De Magistris è tornata in linea con il dato nazionale, con una differenza di solo 1,39% rispetto alle città maggiori. Un’ulteriore conferma che le manovre nazionali dell’ultimo decennio, orientate al contenimento del deficit, hanno ridotto i margini di autonomia dei sindaci, anche nelle città maggiori.

 

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