Parlamentare e ministro, il doppio incarico che non porta da nessuna parte

Il nostro ordinamento consente a membri del parlamento di ricoprire anche incarichi nel governo. Un doppio incarico che in altri paesi europei non è ammesso. In media i parlamentari che sono anche ministri partecipano solo all’8,66% delle votazioni elettroniche in aula.

L’incompatibilità dei due ruoli è evidente.

E’ impensabile immaginare una persona, per quanto competente, svolgere due ruoli così importanti allo stesso momento. Le questioni principali sono due: da un lato il possibile conflitto di interessi (fra potere legislativo e potere esecutivo), dall’altro una semplice questione di tempo.

Avere un incarico all’interno di un governo (ministro, viceministro o sottosegretario che sia) richiede uno sforzo pieno. Discorso egualmente valido per deputati e senatori. Proprio per questo motivo, diventa interessante capire quanto riescono i membri del governo che sono anche parlamentari a seguire i lavori dell’aula.

Per rispondere a questo quesito, abbiamo calcolato le presenze in aula dal giorno della nomina a membro del governo dei parlamentari che attualmente sono a capo di un dicastero. Presenza in aula monitorata attraverso la partecipazione alle votazioni elettroniche.

Ad oggi parliamo di nove ministri fra deputati e senatori. La loro partecipazione media ai lavori di camera e senato è dell’8,66%. Quando va bene, come nel caso della ministra Giannini, si arriva al 36,48% delle votazioni in aula. Quando va male, per esempio con il ministro Gentiloni, si parla dello 0,25% di presenze.

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Questi numeri illustrano benissimo la realtà dei fatti. Un membro del governo non può continuare a ricoprire il proprio incarico da parlamentare. Lasciare uno dei due ruoli sarebbe semplicemente una dimostrazione di rispetto nei confronti delle istituzioni di cui fa parte, e dei cittadini che rappresenta.

Per approfondimenti:

Un pensiero su “Parlamentare e ministro, il doppio incarico che non porta da nessuna parte

  1. Gardena Loober

    Mi fa piacere sentire come sia “impensabile immaginare una persona, per quanto competente, svolgere due ruoli così importanti allo stesso momento”. Occorrerebbe applicare questa valutazione anche al caso dei sindaci dei Comuni capoluogo anche sindaci delle nuove Città metropolitane, cnnformemente a quanto succede con gli altri comuni capoluogo di provincia e le “nuove” Province. Nessuno pare essersi posto il problema che amministrare un capoluogo e insieme il territorio provinciale di riferimento, in modalità di secondo lavoro, fosse una soluzione ai mali dell’amministrazione pubblica. Non solo secondo lavoro, ma pure senza nessun emolumento aggiuntivo: non era difficile immaginare che le Province e le Città metropolitane sarebbero diventate ultime dopo, non solo il Comune capoluogo, ma anche il più piccolo Comune abitato di tutto il Belpaese. Sarebbe inoltre opportuno sapere a che punto sono oggi queste nuove entità, che cosa hanno messo in bilancio, ma soprattutto che cosa stanno facendo. Se ne scoprirebbero probabilmente delle belle.

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