Le infrazioni europee da parte dell’Italia e degli altri stati membri – inTema n.10

Nelle ultime due settimane il parlamento ha discusso e approvato la legge europea e la legge di delegazione europea, le due parti in cui è stata divisa l’originaria legge comunitaria. I due strumenti legislativi assicurano il rispetto degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. Sapere come funzionano e come si differenziano queste due norme è utile per capire come e perché nascono le procedure di infrazione, il sistema messo in piedi da Bruxelles per assicurare il rispetto dei provvedimenti Ue.

I paesi europei rispettano le direttive europee? Quante sono le procedure di infrazione attualmente aperte? Chi ha la maglia nera nel vecchio continente? Storicamente l’Italia è sempre stata in cima alla classifica dei paesi che più infrangono le direttive e norme Ue. Tutto questo ha un costo, perché alla fine del processo, la corte di giustizia europea può imporre una sanzione economica a chi non rimedia agli errori fatti nei tempi prestabiliti.

Cosa sono la legge europea e la legge di delegazione europea

La Legge 234 del 24 dicembre 2012 ha diviso in due quella che era nota come la legge comunitaria, cioè lo strumento con cui il nostro paese recepiva le norme giuridiche dell’Unione europea. La divisione, che ha creato la legge di delegazione e la legge europea, aveva lo scopo di velocizzare i tempi di approvazione ed evitare l’avvio di procedure di infrazione nei confronti del nostro paese.

La legge di delegazione europea conferisce le deleghe legislative al governo per far recepire nell’ordinamento italiano le direttive e gli altri atti dell’Unione europea. In pratica si dà mandato all’esecutivo di fare quanto necessario per rispettare la normativa comunitaria. La legge europea invece contiene disposizioni modificative o abrogative di norme statali in contrasto con gli obblighi Ue. Come dice il sito del dipartimento “politiche europee” della presidenza del consiglio:

In particolare la legge europea può prevedere modifiche a norme statali oggetto di procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia […]. La legge europea può anche prevedere l’abrogazione e la modifica di norme in contrasto con gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione. La legge europea, infine, contiene i presupposti per l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni che non adempiono all’attuazione degli atti normativi comunitari nelle materie di loro competenza, e non provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea.

Dunque la legge di delegazione europea punta a implementare ciò che c’è di nuovo, la legge europea mira a modificare ciò che di sbagliato è stato fatto in passato. La prima deve essere presentata entro il 28 febbraio di ogni anno, la seconda, se necessaria, successivamente.

Infrazioni europee, l’Italia a confronto con gli altri paesi

Una procedura di infrazione può essere avviata dalla commissione europea o da un stato membro nei confronti di un altro. È composta da tre fasi, e può essere causata sia dalla violazione del diritto Ue, sia da un tardivo recepimento di direttive europee. La prima fase, quella pre-contenziosa, è composta da una lettera di messa in mora in cui il paese coinvolto ha due mesi per rispondere alle accuse di infrazione (dal 2008 la messa in mora può essere preceduta dal sistema Eu Pilot). Al termine di questo periodo la commissione emette un parere motivato per richiedere al paese di operare e adempiere. La seconda fase, quella giurisdizionale, dà la possibilità allo stato coinvolto di conformarsi entro il termine prefissato dalla commissione, prima che questa proponga un ricorso per inadempimento alla corte di giustizia europa. La corte emette una sentenza qualora ritenga che lo stato sia inadempiente. Inizia così la terza fase del processo, la sanzione. Se lo stato membro non prende i provvedimenti necessari per rispettare la sentenza, la corte può imporre una sanzione pecuniaria.
Nel 2014 erano aperte 1.347 procedure di infrazione all’interno dell’Unione europea. Anche se leggermente in crescita rispetto al 2013 (1.300), nel complesso il dato è in calo dal 2010, quando quelle aperte erano 2.100. Con una contrazione del 35,86%.

Il nostro paese è storicamente fra quelli con più procedure aperte. A fine 2014 era in cima al podio insieme alla Grecia, con 89 casi di violazione e/o recepimento tardivo del diritto Ue. Anche se il totale del paese ellenico è identico al nostro, l’Italia è il paese europeo con più procedure pendenti per violazione del diritto Ue. Va comunque sottolineato che per procedure avviate nel 2014, l’Italia è al nono posto con 41 casi.

Dei 1.347 casi attualmente aperti, 322 (23,90%) sono nel settore ambientale, 223 (16,56%) in quello della mobilità e dei trasporti, e 162 (12,03%), nel settore del mercato interno.

Le procedure aperte nei confronti del nostro paese, come nel resto del continente, sono diminuite negli anni. L’ultimo aggiornamento del governo risale a metà giugno, quando si contavano 82 casi pendenti. I settori più coinvolti sono ambiente e trasporti. Nonostante le cose vadano meglio, alcuni problemi rimangono.

Le infrazioni europee da parte dell’Italia sono in calo ma aumentano i reclami

In materia di infrazioni, il rapporto fra il nostro paese e l’Unione europea non è dei più idilliaci. Tuttavia negli ultimi anni il numero dei procedimenti aperti risulta in costante diminuzione. A fine 2010 erano 128, 99 a fine 2012, 89 a fine 2014, e a metà del giugno scorso 82. Di queste, 60 erano per violazione del diritto dell’Unione europea, e 22 per mancato recepimento di direttive.

Il 18,29% di queste infrazioni è in materia ambientale, mentre un 9,75% riguarda affari interni. Nei primi 6 mesi del 2016, le infrazioni aperte sono state quattordici, tutte ancora nella fase della messa in mora, e tutte tranne due per mancato recepimento di direttive Ue.

Il dato che però merita attenzione è il numero di casi Eu Pilot, un sistema introdotto nel 2008 per limitare le infrazioni aperte. Lo strumento anticipa di fatto la messa in mora, richiedendo un chiarimento da parte di uno Stato membro in seguito a una segnalazione (da parte di cittadini, imprese eccetera) su una possibile infrazione. Questi ultimi devono fornire entro 10 settimane spiegazioni o soluzioni, compresa un’azione correttiva per porre rimedio a violazioni del diritto Ue. In caso di esito negativo, inizia formalmente il processo di infrazione.

Mentre le infrazioni diminuiscono, aumentano i reclami Eu Pilot nei confronti dell’Italia: erano 107 nel 2012, 122 nel 2013 e 128 nel 2014 (il 10,6% del totale Ue-28). A fine 2015 in totale, per tutti i paesi, risultano ancora aperti 1.348 casi di reclami Eu Pilot, e l’Italia risulta il paese più coinvolto con 139 casi. A seguire, con una certa distanza, troviamo la Spagna con 91 casi, e Grecia e Polonia con 73 ciascuno. Gli stati membri hanno 70 giorni per rispondere ai reclami Eu Pilot, in media il nostro paese risponde in 78. Solo tre paesi fanno peggio: Danimarca (81), Cipro (93) e Francia (95). Dal 2011 ad oggi l’Italia ha rispettato la soglia solo nel 2012.

Tutto questo ovviamente ha un costo. Abbiamo già versato a Bruxelles oltre 180 milioni di euro, di cui più di 100 solo per i problemi legati a discariche e rifiuti.

Quanto ci costa infrangere le normative europee

Le procedure di infrazione, se portate fino in fondo, arrivano alla corte di giustizia europea, che può formalizzare una sanzione nei confronti di uno stato membro. L’Italia dal 1952 ad oggi è il paese che può spesso è finito davanti alla corte, con ben 642 ricorsi per inadempimenti.

Il dato è interessante perché oltre a essere il primato europeo, stacca di gran lunga il resto dei paesi membri. Il secondo paese in classifica è la Francia, con 416 ricorsi per inadempimenti arrivati alla corte, e subito dietro la Grecia con 400 casi. In totale dei 3.828 ricorsi arrivati alla corte di giustizia europea dal 1952 ad oggi, il 16,77% riguarda l’Italia. 

La conseguenza di arrivare così spesso alla corte di giustizia europea è il dover pagare delle sanzioni economiche. Ad oggi l’Italia sta pagando per quattro procedure d’infrazione. La prima, ad oggi la più dispendiosa per il nostro paese, risale al 2003 e riguarda la non corretta applicazione delle direttive 75/442/CE sui “rifiuti“, 91/689/CEE sui “rifiuti pericolosi” e 1999/31/CE sulle “discariche“. Le sanzioni generalmente includono una multa una tantum da pagare, più una mora di penalità per ogni giorno di ritardo nel pagamento. Per questa infrazione l’Italia negli anni ha pagato 79,8 milioni di euro.

La seconda infrazione che ci è costata cara è quella per i contratti di formazione lavoro. L’Italia è stata condannata per gli aiuti di stato alle imprese nel periodo fra il 1995 e il 2001 per contratti di formazione lavoro a talune categorie di lavoratori che non ne avevano diritto in base alle regole comunitarie. A oggi l’Italia ha pagato 53 milioni di euro.

Le altre due infrazioni sono quella per il mancato recupero degli aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia (30 milioni di euro), e quella per l’emergenza rifiuti in Campania (20 milioni di euro). In totale quindi l’Italia ha già pagato oltre 180 milioni di euro per le infrazioni europee.

Procedure di infrazione, la situazione dell’Italia e il confronto europeo

Il rapporto fra l’Italia e l’Unione europea è centrale nella stabilità del nostro paese. Un equilibrio fatto di tanti pezzi, che nel corso degli anni abbiamo affrontato in vario modo, anche con un analisi sull’utilizzo dei fondi europei. In più occasioni dunque sono apparsi evidenti i limiti dell’Italia nel gestire alcuni aspetti di questo rapporto.

L’incapacità di usare appieno le risorse messe a disposizione dall’Unione europea, e la propensione a non rispettare le direttive comunitarie sono problemi che costano parecchio alle casse dello stato. Un costo che è fatto di fondi stanziati per l’Italia che non vengono utilizzati, e di procedure di infrazione che risultano in salate sanzioni economiche. Mettere in piedi delle politiche efficienti in entrambi i campi alleggerirebbe la burocrazia e gioverebbe parecchio all’economia del nostro paese.

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