La composizione del senato oggi e se vince il sì – speciale referendum n. 5

Uno dei punti più controversi della riforma costituzionale è la trasformazione del senato in organo rappresentativo degli enti territoriali. I sostenitori del sì difendono la riduzione dei senatori da 315 a 95 e la semplificazione del sistema istituzionale. I contrari contestano la non elettività dei senatori, che non sarebbero più eletti a suffragio universale ma dai consigli regionali. Per capire di più, vediamo come cambierebbero composizione ed elezione del senato, anche attraverso il confronto con altre esperienze internazionali.

Come funziona oggi e come potrebbe essere in futuro

Oggi il senato è composto da 315 senatori, di cui 309 eletti in Italia e 6 nella circoscrizione estero. La loro elezione avviene con suffragio universale nelle elezioni politiche insieme alla camera dei deputati. In aggiunta ai 315 ci sono i senatori a vita. Fino a 5 possono essere nominati dal presidente della repubblica per altissimi meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario (art. 59 della costituzione). Attualmente sono 4, tutti nominati da Giorgio Napolitano: Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia e Mario Monti. Diventano automaticamente senatori a vita i capi di stato alla fine del mandato al Quirinale.

Se al referendum vincesse il sì, il senato passerebbe da 315 a 95 senatori elettivi. Ma l’elezione non avverrebbe più a suffragio universale, come per la camera dei deputati: i senatori sarebbero eletti dai consigli regionali. Mentre oggi può essere eletto senatore qualsiasi cittadino con più di 40 anni, la riforma prevede che i 95 debbano essere dei rappresentanti degli enti territoriali, in particolare si tratterebbe di 74 consiglieri regionali e 21 sindaci (uno per ogni regione, comprese le 2 province autonome di Trento e Bolzano). I 5 senatori nominati dal presidente della repubblica per aver illustrato la patria per altissimi meriti, dureranno in carica per 7 anni anziché a vita (i 4 attualmente in carica invece conservano il seggio vitalizio). Non cambia nulla per i futuri ex capi di stato che, alla fine del mandato, diventeranno automaticamente senatori a vita.

 

Il tentativo è dunque quello di rendere i senatori dei rappresentanti degli enti territoriali, attraverso specifici accorgimenti – in primo luogo di natura elettorale.

Il senato a rinnovo parziale

Con la costituzione vigente, il giorno delle elezioni politiche, l’elettore sopra i 25 anni si vede consegnare due schede: una per la camera e l’altra per il senato. Se vince il sì, alle elezioni politiche sarà eletta solo la camera dei deputati, unico organo che rimarrebbe depositario del potere di dare la fiducia e sfiduciare i governi.

La riforma prevede che il senato venga eletto in corrispondenza con le elezioni regionali, in modo da introdurre un vincolo di appartenenza territoriale del senatore. Il mandato di senatore verrebbe così a coincidere con quello dell’organo che lo ha eletto: in caso di scioglimento del consiglio regionale, decadrebbero anche i senatori di quella regione; e sarebbe il nuovo consiglio, eletto dopo le regionali, a votare i nuovi senatori.

In base al calendario delle prossime elezioni regionali, possiamo ipotizzare che i futuri rinnovi parziali dei senatori avverranno con questa cadenza:

La riforma, in fase transitoria, prevede l’operatività del nuovo senato solo dalla prossima legislatura; le camere attuali resterebbero in carica fino alla scadenza naturale, nel febbraio 2018. Ma, nel caso si tenessero elezioni politiche anticipate, il primo rinnovo potrebbe svolgersi già l’anno prossimo, in Sicilia. In questo scenario, subito dopo dopo le regionali in Sicilia del 2017, l’assemblea regionale siciliana eleggerebbe i 7 senatori (6 consiglieri regionali e un sindaco) che spettano all’isola.
Nel 2018 si rinnoverebbero 8 consigli tra regionali e provinciali: Lombardia, Lazio, Molise, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, provincia autonoma di Bolzano, provincia autonoma di Trento, Valle d’Aosta. I consigli neoeletti eleggerebbero in tutto 34 senatori (14 in Lombardia, 8 nel Lazio, 2 ciascuno in Valle d’Aosta, Molise, Basilicata, Friuli Venezia Giulia e province autonome di Trento e Bolzano).
Nel 2019 le 5 regioni che andranno al voto (Abruzzo, Piemonte, Calabria, Emilia Romagna, Sardegna) eleggeranno 21 senatori, dai 7 del Piemonte ai 2 dell’Abruzzo. Nel 2020 la tornata elettorale coinvolgerà 7 regioni: 9 in Campania, 2 in Liguria, 2 nelle Marche, 6 in Puglia, 5 in Toscana, 2 in Umbria e 7 in Veneto, per un totale di 33 nuovi senatori.

Non solo la carica di senatore coinciderà con quella dell’organo che lo ha eletto, ma la titolarità di una carica elettiva (regionale o locale) diventa il presupposto per essere e rimanere senatore. Per i senatori-sindaci questo significa che, a differenza dei loro colleghi consiglieri regionali, possono decadere anche per lo scioglimento del consiglio comunale di cui fanno parte. Tutto ciò sembra pensato per legare i 95 senatori al loro ruolo a livello regionale o locale, più che alla loro appartenenza partitica, tanto più che anche con la riforma i futuri senatori non avranno vincolo di mandato verso chi li ha eletti. Del resto, i futuri senatori saranno comunque anche espressione dei gruppi presenti nei consigli regionali, di cui fanno parte a pieno titolo. Quale delle due appartenenze prevarrà?

Tra rappresentanza politica e territoriale

La riforma costituzionale, volutamente, non specifica se i senatori si riuniranno in gruppi, né se questi raggruppamenti si costituiranno in base all’appartenenza politica (come avviene oggi) oppure alla provenienza territoriale. Questo aspetto sarà risolto solo nel futuro regolamento del senato.

Possiamo però già fare alcune considerazioni sul tema, basandoci sulla legge elettorale transitoria per il senato, che prevede che ogni consiglio regionale eleggerà i senatori spettanti alla sua regione con questa modalità: i partiti (da soli o in coalizione) formano delle liste in cui sono candidati insieme sindaci e consiglieri regionali. Ogni consigliere regionale sceglie la lista che preferisce tra quelle candidate, che sono bloccate: i candidati passano nell’ordine in cui sono presentati. I seggi vengono attribuiti alle liste con metodo proporzionale, ovvero in proporzione ai voti ricevuti.

Sarà interessante capire che aspetto avrà il senato che uscirà da questa legge elettorale. Un’ipotesi è che le coalizioni al governo di ogni regione presentino liste comuni, in modo da esprimere dei senatori coerenti con la loro attività a livello regionale. Ad oggi il centrosinistra controlla 16 regioni su 20, ma con coalizioni di natura molto diversa.

In Toscana il Pd controlla giunta e maggioranza consiliare con un monocolore, in Trentino Alto Adige è alleato di partiti regionalisti. In Marche, Campania, Basilicata, Sicilia i democratici sono coalizzati con i centristi, mentre in Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Umbria con la sinistra. Il Pd governa con un centrosinistra “allargato” a centristi e sinistra in 7 regioni, ovvero Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria, Sardegna.

Un ragionamento analogo vale per il centrodestra: in Veneto governa con un formato ristretto a Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia, mentre in Lombardia e Liguria comprende anche i centristi. Quindi le coalizioni di centrosinistra e centrodestra potrebbero eleggere, a seconda del contesto regionale, senatori espressione di maggioranze politiche molto variegate, e – a livello nazionale – anche in contrasto tra loro.

Ma allora come si concilierà la disciplina di partito a livello nazionale con il mandato politico espresso a livello regionale? Questo tema si presenterà tutte le volte in cui la posizione nazionale di una forza politica sia differente da quella assunta a livello locale. Una possibilità è che i senatori finiscano con il seguire l’orientamento della regione che li ha eletti, visto che la camera – sulla stragrande maggioranza delle leggi – manterrà comunque l’ultima parola. Quindi al senato uno stesso partito potrebbe trovarsi ad esprimere posizioni opposte a seconda dell’appartenenza territoriale, un po’ la dinamica che si riscontra oggi nel parlamento europeo, tra gruppi continentali (popolari, socialisti, liberali e verdi) e le loro delegazioni nazionali.

Ma gli altri paesi che hanno adottato un modello di camera alta rappresentativo degli enti territoriali, come hanno risolto questo tipo di tensioni? E, più in generale, come sono composte le seconde camere negli altri paesi europei e negli Stati Uniti?

Le camere alte in Europa e negli Stati Uniti

Tra i maggiori paesi europei, Francia e Germania sono quelli che prevedono una camera rappresentativa degli enti territoriali.  Il senato francese ha la funzione di rappresentare le collettività territoriali. In quanto espressione delle istituzioni locali, i suoi 348 membri vengono eletti in secondo grado da un collegio molto ampio, composto da tutti coloro che ricoprono una carica elettiva nella repubblica. Si tratta di quasi 150mila persone: per il 95% sono consiglieri municipali e rappresentanti dei comuni; per il resto sono consiglieri dipartimentali, regionali e deputati nazionali.

Il bundesrat, la camera alta della Germania, è l’organo di raccordo tra lo stato federale e i governi dei länder, le regioni tedesche. I suoi 69 membri sono solo dei delegati di questi ultimi, che possono nominarli e revocarli senza limiti. Per questo, i membri della camera alta tedesca non sono elettivi, ma nominati. A differenza del caso francese, il collegamento tra l’istituzione locale e il suo rappresentante nel bundesrat è molto più stringente: i delegati di ciascuna regione possono esprimersi solo in blocco e hanno vincolo di mandato rispetto alle decisioni del governo che li ha nominati.

Anche in Spagna il senado rappresenta le comunità autonome, ma i suoi 266 membri non sono espressione esclusiva del ceto politico di queste ultime, come accade in Germania e in Francia. La scelta dei senatori avviene con un’elezione mista: circa l’80% viene eletto dai cittadini spagnoli a suffragio universale, mentre i seggi restanti sono designati dai parlamenti regionali.

Del tutto diversa la composizione della camera alta in due paesi anglofoni: Regno Unito e Stati Uniti d’America. Nel primo, la house of lords è un retaggio dell’antichissimo parlamentarismo inglese. Ha funzioni di garanzia rispetto alla camera politica, controllata dal partito di maggioranza, ma non ha rappresentatività democratica e per questo ne è stata proposta in più occasioni l’abolizione. I suoi membri (di numero variabile, attualmente sono oltre 800) sono nominati dalla corona britannica, su proposta del governo in carica oppure per autocandidatura. In maggioranza sono nominati a vita e fino al 1999 si poteva diventare lord anche per diritto ereditario.

Negli Stati Uniti d’America, il senato è composto da 100 membri eletti a suffragio universale dai cittadini statunitensi. La particolarità della camera alta americana è che tutti gli stati, dal più piccolo al più grande, sono rappresentati da 2 senatori, con l’obiettivo di dare lo stesso peso politico a tutti i componenti della federazione. I senatori restano comunque giuridicamente indipendenti rispetto al collegio elettorale che li ha eletti, dal momento che non hanno alcun vincolo di mandato.

Rispetto alle altre esperienze internazionali, il senato disegnato dalla riforma costituzionale sarebbe ispirato ai modelli tedesco e francese, con alcune differenze sostanziali. Dalla Germania mutua il legame tra l’ente di elezione e il senatore: in caso di scioglimento del primo, cade anche il secondo. Però non prevede vincolo di mandato: i senatori non sarebbero dei meri delegati della giunta regionale, ma rappresentanti del consiglio (quindi in ciascuna regione si avrebbero rappresentanti di colore politico diverso). Dalla Francia deriva l’idea che siano gli eletti a livello locale, e non i singoli governi, né l’intera popolazione, a designare i senatori. Ma il modello francese, centralista, privilegia i rappresentanti dei comuni (da soli sono il 95% del collegio elettorale), mentre in Italia prevale il peso politico delle regioni a discapito dei comuni.

Per approfondire: