Uso e abuso dei decreti legge – speciale referendum n.4

Uno dei compiti della classe politica è individuare criticità e problemi, e cercare delle soluzioni. Uno strumento che negli anni è finito più volte al centro del dibattito politico è il decreto legge. Nato per affrontare situazioni di emergenza e urgenza, con il tempo è diventato il mezzo principale con cui i governi hanno portato avanti la propria agenda politica. Una forzatura del precetto costituzionale che ha portato i decreti legge a diventare uno dei tipi di provvedimenti più discussi in parlamento.

La riforma costituzionale su cui si vota il 4 dicembre prevede dei limiti all’uso dei decreti legge e allo stesso tempo introduce uno strumento per facilitare l’applicazione dei programmi di governo. Ma prima di vedere le soluzioni proposte, cerchiamo di capire la portata del problema.

Cosa sono i decreti legge e quanto vengono utilizzati

Art. 77 della costituzione italiana – Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.

Nell’ordinamento costituzionale italiano il governo detiene il potere esecutivo. Ma può esercitare anche il potere legislativo, attribuito normalmente al parlamento, in tre modi:

  1. attraverso la presentazione di disegni di legge ordinari al parlamento;
  2. con l’emanazione di decreti legislativi (in seguito a deleghe specifiche ricevute dal parlamento);
  3. con la deliberazione di decreti legge.

Quest’ultimo è un atto normativo con valore di legge utilizzato dal governo in casi straordinari di necessità e urgenza. I decreti legge hanno effetto immediato, e devono poi essere convertiti in legge dal parlamento entro 60 giorni.
Come si può vedere dal grafico l’utilizzo dei decreti legge nel corso degli anni è stato molto ricorrente. I 4 governi delle ultime due legislature hanno emanato in totale 197 decreti legge, circa 2 ogni mese. I governi Monti e Letta, i più brevi fra i quattro elencati, hanno fatto registrare una media addirittura superiore. Questi provvedimenti vengono poi per lo più convertiti in legge dal parlamento. Dei 197 provvedimenti, ben 167 (l’84,77%) hanno completato con successo l’iter legislativo passando per l’approvazione di camera e senato entro i 60 giorni richiesti.

Raramente poi la mancata conversione in legge da parte del parlamento ha significato una bocciatura politica da parte di camera e senato. Spesso infatti in seguito al mancato voto il contenuto del decreto è stato riproposto in altra forma, oppure è stato abbandonato per scelta del governo, più che del parlamento.

È evidente che negli anni il raggio d’azione dei decreti legge si è ampliato notevolmente, a volte forzando la definizione costituzionale di “casi straordinari di necessità e urgenza”. Una situazione tanto più palese se si considera il notevole peso di questa mole di decreti sulla produzione legislativa totale del parlamento italiano.

Il peso dei decreti legge sull’attività del parlamento

La tendenza dei governi a usare in modo ricorrente lo strumento del decreto legge è ormai prassi condivisa. Un modo di fare, però, che come abbiamo visto stravolge la natura di questo tipo di provvedimento, trasformandolo da straordinario in ordinario.

Dal 2008 a oggi, nelle ultime due legislature, circa il 20% delle leggi approvate da camera e senato è composto da conversioni di decreti legge. Una percentuale che sotto il governo Letta era salita persino al 61%, e che con l’esecutivo Renzi si attesta intorno al 20%. In questa legislatura la media è del 25%, 1 legge su 4.

Queste percentuali hanno ancora più importanza se si considerano anche gli altri tipi di leggi approvate. Come abbiamo visto nel nostro MiniDossier “Premierato all’italiana” (uscito nel dicembre scorso), oltre il 36% dei provvedimenti promulgati sono ratifiche di trattati internazionali. Decreti legge e ratifiche messi insieme costituiscono quindi la maggioranza delle leggi approvate. Questo elemento rende la distorsione del decreto legge ancora più critica, poiché ha delle conseguenze dirette sullo spazio di iniziativa legislativa lasciato ai parlamentari.

L’uso improprio dei decreti legge

Il fatto che gli ultimi quattro governi abbiano spesso usato i decreti per legiferare non è di per sé un problema. Un uso legittimo dello strumento, per quanto ricorrente, sarebbe solo una conseguenza naturale di esigenze politiche del paese: in casi di necessità e urgenza, il governo delibera un decreto legge per avere soluzioni tempestive.

Il problema però è che spesso non è così, anzi. Per tentare di capire l’uso concreto che è stato fatto dello strumento abbiamo fatto un esperimento. Prendendo i decreti legge convertiti dal nostro parlamento durante i governi Letta e Renzi, abbiamo categorizzato i provvedimenti per tipologia. La classificazione scelta è redazionale e non regolata formalmente. Data la complessità della materia e dei testi, il risultato ottenuto è puramente esemplificativo.

La tipologia più ricorrente è quella dei decreti legge adottati per realizzare l’agenda di governo: proposte politiche per l’attuazione del programma. In questa categoria troviamo per esempio: decreto irpef sugli 80 euro, decreto sul finanziamento pubblico ai partiti, decreto lavoro – jobs act, decreto del fare, decreto scuole belle, decreto pensioni, decreto musei, decreto destinazione e altro.

La seconda categoria più frequente è composta dai decreti legge che affrontano tematiche nate in corso di legislatura che, per quanto non programmabili, non possono comunque essere classificate come emergenze tali da richiedere un provvedimento con effetto immediato. In questa categoria possiamo far rientrare, fra gli altri: decreto sul processo civile, sui fallimenti, sulla competitività, anti-femminicidio, la riforma delle banche di credito cooperativo o il decreto per superare gli ospedali psichiatrici giudiziari. Queste prime due categoria analizzate sembrano essere quantomeno delle forzature nell’uso della decretazione d’urgenza.

In questa legislatura ci sono state anche emergenze vere, e alcuni decreti sono stati adottati per affrontarle: decreto ricostruzione (dopo i recenti terremoti), decreto giubileo-expo, decreto terra dei fuochi, decreto Ilva e altri. Nella classificazione che abbiamo fatto dei decreti legge seguono altre 4 categorie, che ormai per prassi rientrano nell’uso accettabile dello strumento, ma che a tratti possono risultare delle forzature, soprattutto perché l’uso ricorrente li rende più ordinari che straordinari: l’annuale milleproroghe (proroga di disposizioni legislative la cui efficacia cesserebbe altrimenti alla fine dell’anno; il semestrale o annuale decreto missioni (che proroga gli stanziamenti per la partecipazione dell’Italia a missioni militari); il decreto enti locali (misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio) e infine i decreti election day (misure per il corretto svolgimento delle tornate elettorali).

Per quanto esemplificativo, l’esperimento aiuta a capire quanto l’utilizzo fatto dai vari governi dei decreti legge sia stato quantomeno discutibile.

I limiti ai decreti legge e l’approvazione a data certa

Dunque la decretazione d’urgenza da parte degli ultimi governi è stata spesso usata più per implementare l’agenda di governo che per affrontare casi di straordinaria urgenza come prevede la costituzione.

La riforma costituzionale varata dal parlamento e ora nelle mani dei cittadini cerca di affrontare il problema, con due novità principali. Innanzi tutto vengono inseriti in costituzione limiti per l’uso dei decreti legge. Secondo gli eventuali nuovi commi 4 e 5 dell’articolo 77, non si potranno più emanare decreti per conferire deleghe legislative, in materia costituzionale ed elettorale, per ratifiche di trattati e per le leggi di bilancio. Non si potranno rinnovare decreti legge già bocciati dalla camera, regolare rapporti giuridici su base di decreti non convertiti e ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime della corte costituzionale. In aggiunta i decreti dovranno avere un contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo: dunque nel corso dell’esame non potranno essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alla finalità del decreto. In realtà tutti questi limiti sono già previsti dall’ordinamento attuale ma a livello di legislazione ordinaria, mentre con la riforma verrebbero inseriti in costituzione.

Oltre a questi aspetti, che modificano uno strumento già esistente, la riforma prevede una seconda novità. Il nuovo settimo comma dell’articolo 72 della costituzione, infatti, introduce l’approvazione a data certa. Si tratta della possibilità per il governo di chiedere alla camera dei deputati che un disegno di legge, essenziale per l’attuazione del programma di governo, sia sottoposto alla votazione finale entro 70 giorni (prorogabili fino a un massimo di 90 dalla richiesta). Questo strumento non potrà essere usato per alcuni tipi di leggi: quelle di approvazione bicamerale, in materia elettorale, per la ratifica trattati, di amnistia/indulto e di bilancio. L’introduzione sembra rispondere alla necessità di limitare l’uso dei decreti legge per portare avanti riforme del governo e punti programmatici, fornendo quindi uno strumento ad hoc per questo tipo di azioni. A differenza dei decreti però, in cui effetti scattano dal momento della presentazione, qui bisognerà aspettare l’approvazione da parte del parlamento.

Dunque se da un lato la riforma tenta di limitare l’abuso che è stato fatto dei decreti legge negli anni, dall’altro fornisce al governo un nuovo strumento per cercare di implementare l’agenda di governo.