Costi e risparmi con la riforma costituzionale – speciale referendum n. 7

Il taglio alle spese per la politica è un punto controverso, terreno di scontro tra i sostenitori del sì e del no. Proviamo a stimare quali economie sarebbero possibili con l’applicazione della legge Boschi.

La scheda elettorale su cui andranno a votare i cittadini cita nel quesito referendario il contenimento dei costi della politica. La riforma interviene su più livelli istituzionali:

  • per il senato è prevista la riduzione dei senatori da 315 a 95 (a cui si aggiungono i membri di nomina presidenziale e gli ex presidenti della repubblica) e il taglio delle loro indennità (che però rimane per i senatori a vita attualmente in carica e per i presidenti emeriti della repubblica);
  • verrebbe eliminato il Cnel (consiglio nazionale dell’economia e del lavoro);
  • per le regioni a statuto ordinario viene fissato un tetto agli emolumenti spettanti ai consiglieri regionali e al presidente di regione (il limite corrisponde alla cifra attribuita al sindaco del comune capoluogo di regione). Inoltre verrebbero aboliti i contributi ai gruppi politici nei consigli di tutte le regioni, comprese quelle a statuto speciale;
  • le province, già “svuotate” dalla legge Delrio, verrebbero abolite dalla costituzione.

Alcuni risparmi si possono considerare di diretta applicazione della nuova costituzione. Ma accanto a questi, spesso vengono conteggiate ulteriori economie, che però sono solo eventuali e dipenderanno da come sarà applicata la riforma e da come verranno disciplinate, attraverso leggi successive e regolamenti parlamentari. Vediamoli punto per punto.

Indennità e rimborsi dei senatori

parlamentari ricevono un trattamento economico che si compone dell’indennità, della diaria e di rimborsi ad altro titolo (spese generali, strumenti informatici eccetera). La riforma costituzionale interviene su queste voci di spesa riducendo il numero dei senatori e eliminandone le indennità.

La fonte normativa principale delle indennità parlamentari è l’articolo 69 della costituzione, che oggi recita:

«I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge»

La riforma modifica questo articolo sostituendo la parola “parlamento” con “camera dei deputati”.  Quindi la carica di senatore – che coinciderà con il mandato da consigliere regionale o da sindaco – non darà diritto a un’indennità parlamentare aggiuntiva rispetto a quella ricevuta per l’incarico nell’ente territoriale.

Questa novità vale sia per i 95 membri eletti dai consigli regionali, sia per i 5 di nomina presidenziale per 7 anni. Ne resteranno esclusi i senatori di diritto e a vita in qualità di presidenti emeriti della repubblica, in quanto come specificato dall’articolo 40 della legge di riforma:

«(…) lo stato e le prerogative dei senatori di diritto e a vita restano regolati secondo le disposizioni già vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale»

Lo stesso vale per i senatori di nomina a vita attualmente in carica, secondo l’articolo 39:

«(…) i senatori a vita in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale permangono nella stessa carica, ad ogni effetto, quali membri del Senato della Repubblica»

Tolte queste eccezioni, possiamo stimare quanto varrebbe il risparmio sulle indennità non più corrisposte per i 315 senatori elettivi e quelli a vita. Dal rendiconto del 2015, vediamo che il senato ha speso in quell’anno oltre 41,2 milioni di euro per le indennità dei suoi membri. Sottraendo l’indennità di 315 senatori, il risparmio consisterebbe in in 40,5 milioni di euro.

Invece la diaria, cioè l’importo per le spese di soggiorno a Roma, verrebbe corrisposta per 100 senatori anziché 315, comportando una riduzione di spesa di circa 9 milioni di euro all’anno.

Se su indennità e diaria è abbastanza semplice stimare il risparmio, più complesso calcolare le economie per gli altri rimborsi spese che oggi spettano ai senatori. Poiché questi vengono corrisposti per servizi e dotazioni che la regione già fornisce al consigliere regionale (ad esempio gli strumenti informatici), si potrebbe ipotizzare che sarebbero aboliti. Ma non è possibile dirlo con certezza perché questo aspetto sarà disciplinato solo a riforma approvata, dopo il referendum.

Un altro scenario ipotizzabile è che i rimborsi vengano ridotti solo in proporzine al numero dei membri. In questo caso, visto che per queste voci il senato ad oggi spende 22,6 milioni l’anno, il risparmio sarebbe di 15,6 milioni di euro. Ma, a differenza dei circa 50 milioni derivanti da diaria e indennità, questi sono ipotetici e dipenderanno da come verrà attuata la riforma.

Un’altra spesa che potrebbe essere tagliata è l’assicurazione del senatori. Nel 2015 è costata 1,8 milioni di euro; con la nuova composizione a 100 membri si otterrebbe un risparmio di quasi 1,3 milioni.

Il rebus dei gruppi politici al senato

Nel 2015 hanno ricevuto oltre 21 milioni di euro, ma la legge che gli italiani sono chiamati a votare il 4 dicembre non specifica se in futuro queste formazioni esisteranno ancora. Tutto dipenderà dal regolamento dell’eventuale nuovo organo. Impossibile quindi stimare se ci saranno risparmi.

In base all’ultimo rendiconto del senato, i gruppi parlamentari di questo ramo del parlamento nel 2015 hanno ricevuto un contributo di oltre 21 milioni di euro.

Per capire come inciderà l’esito del referendum su questa spesa, va in primo luogo ricordato che la riforma costituzionale non stabilisce come si organizzerà il nuovo senato. La materia, in caso di vittoria del sì, sarà disciplinata nel futuro regolamento del senato. E in quella sede si stabilirà se i senatori si organizzeranno in base all’appartenenza territoriale oppure, come accade oggi, in base all’affiliazione politicaQuindi la riforma, non disciplinando questo aspetto, non dovrebbe produrre risparmi diretti.

Starà al futuro regolamento del senato, se passerà la riforma, dirimere la questione. Il regolamento del senato in vigore stabilisce all’articolo 16:

«[…] ai Gruppi parlamentari è assicurata la disponibilità di locali, attrezzature e di un unico contributo annuale, a carico del bilancio del Senato, proporzionale alla loro consistenza numerica»

Se questo criterio numerico rimanesse, ci si aspetterebbe per logica che l’importo di 21 milioni di euro venga erogato in proporzione ai 100 membri; il che produrrebbe un risparmio di 14,6 milioni di euro.

Ma si tratta solo di un’ipotesi, in realtà tutto dipenderà dal ruolo e dalla funzione che verrà attribuita ai gruppi in caso passi la riforma. Non sappiamo ancora in cosa consisterà l’attività dei gruppi al senato. Oggi svolgono anche studi e ricerche sui provvedimenti all’esame dell’assemblea. Il senato trasformato dalla riforma potrà occuparsi potenzialmente di tutte le leggi, in caso si attivi – in tempi molto ristretti – per chiedere e proporre delle modifiche. Questo richiederà un’attività costante di monitoraggio dei provvedimenti all’esame della camera dei deputati, che potrebbe spettare ai futuri gruppi parlamentari. A fronte di un senato composto in massima parte da membri che svolgono in via principale un altro incarico, i gruppi potrebbero mantenere un ruolo di raccordo tra i senatori-sindaci/consiglieri regionali e l’attività parlamentare. Uno scenario simile rende di difficile previsione il risparmio derivante dalla misura. Vediamo cosa succederà invece con le analoghe formazioni a livello regionale.

Indennità e rimborsi nei consigli regionali

La riforma prevede due misure che potrebbero comportare una riduzione delle spese per gli organi politici delle regioni:

  • l’eliminazione dei rimborsi ai gruppi politici nei consigli regionali;
  • il tetto agli emolumenti dei consiglieri regionali, che coincideranno con la cifra spettante al sindaco del comune capoluogo della regione.

Proviamo a vedere quante economie queste misure potrebbero produrre se approvate nel nostro ordinamento costituzionale. La norma che abolisce i rimborsi ai gruppi nei consigli regionali è il comma 2 dell’articolo 40 della riforma, che recita:

«Non possono essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali».

Questa indicazione si applica a tutte le regioni italiane – sia a statuto ordinario sia speciale – ed è immediatamente operativa.

Possiamo stimare il risparmio in base alle erogazioni annuali dei consigli regionali per i gruppi. Nel 2014 questa cifra era di quasi 32 milioni di euro, assegnati per spese di funzionamento e per il personale, come emerge dai rendiconti dei gruppi. Questo risparmio si può dare per certo, visto che divieto di corrispondere somme ai gruppi consiliari sarebbe di immediata attuazione.

Invece per il limite alle indennità dei consiglieri, la stima è molto più incerta. Secondo il nuovo articolo 122 della costituzione:

«(…) con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi e i relativi emolumenti [dei consiglieri regionali, ndr] nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione. (…)»

Questa norma imporrebbe due innovazioni:

  • le indennità verrebbero stabilite con legge dello stato e non delle singole regioni;
  • e avrebbero un tetto (un consigliere regionale non potrebbe prendere di più di un sindaco del comune capoluogo della regione).

Tuttavia questa norma, a differenza dei rimborsi, vale solo per le regioni a statuto ordinario. È uno degli ultimi articoli della riforma Boschi a stabilirlo: l’articolo 39 al comma 13  prescrive che le disposizioni del Capo IV della legge (tra cui rientra anche la modifica dell’articolo 122) non si applicano alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano fino all’adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime.

Per come è scritta la norma è difficile stimarne l’eventuale risparmio. L’articolo parla di emolumenti dei consiglieri regionali, i quali oggi ricevono un trattamento economico composto da tre voci:

  • indennità di carica: il trattamento base, uguale per tutti i consiglieri ma variabile a seconda delle regioni tra i 5.000 e gli 8.000 euro;
  • indennità di funzione: una somma variabile in base allo specifico incarico ricoperto dal consigliere – per esempio presidente o vicepresidente di commissione, presidente del consiglio – in alcune regioni può aggiungere fino a 2.700 euro;
  • rimborsi spese per l’esercizio del mandato: ciascuna regione fissa un limite massimo ai rimborsi spesa erogabili al mese: fino a 3.500 euro in Piemonte, 4.218 in Lombardia, 6.000 in Calabria eccetera.

Ai sindaci invece spetta un’indennità variabile in funzione della dimensione demografica del comune, per esempio nei maggiori capoluoghi di regione hanno diritto ad un’indennità di circa 7.800 euro lordi ridotti dalla legge 122/2010 a 7.018,65 euro mensili.

Tutto ciò rende complesso calcolare il potenziale risparmio. Tutto dipende da cosa si intende per “emolumenti”. Se si intendono le sole indennità di carica, diverse regioni – soprattutto quelle più grandi come Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna – si trovano già sotto il tetto stabilito dalla riforma. Se vi si comprende l’indennità di funzione il risparmio sarà più consistente per chi ricopre cariche apicali (il presidente di consiglio, di commissione) ma minimo o nullo per i consiglieri senza altri incarichi.

Ma senza sapere se il tetto comprenderà anche i rimborsi è impossibile stimare il risparmio generato dall’applicazione della norma. Se il tetto valesse solo per le indennità, potrebbe essere aggirato innalzando la cifra erogabile per i rimborsi spese nell’esercizio del mandato.

Quanto valgono i risparmi del cnel

Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, Cnel, in assemblea costituente venne concepito come luogo di rappresentanza delle parti sociali, da affiancare alle due camere elette a suffragio universale. A differenza di camera e senato, il Cnel non ha nessun ruolo nell’approvazione delle leggi, ma può proporre disegni di legge e formulare pareri al parlamento e al governo sulla politica economica e sociale.

Il suo ruolo nel corso dei decenni è stato messo diverse volte in discussione. Dalla sua istituzione il Cnel ha elaborato 970 documenti. Di questi, 14 disegni di legge e 96 pareri (ovvero le attività che gli competono specificamente in base alla costituzione). I restanti documenti elaborati sono in gran parte relazioni, dossier e rapporti di varia natura sui suoi temi di competenza. Istituito con legge dello stato nel 1957, è stato riformato più volte, l’ultima nel 2011. Oggi è composto da 64 membri, oltre al presidente: 10 esperti economici, 48 rappresentanti di sindacati, associazioni industriali e di categoria e 6 esponenti delle associazioni sociali e di volontariato.

Uno degli articoli della legge Boschi prevede la sua abolizione, con conseguenti risparmi che cerchiamo di misurare. La riforma interviene sul Cnel in due modi: abolisce completamente l’articolo 99 che lo istituiva e, nelle disposizioni finali, disciplina la modalità di soppressione dell’organismo. Vediamo nel dettaglio cosa prevedono queste norme transitorie. 

In una prima fase, il Cnel viene commissariato con un decreto del Presidente del consiglio (su proposta del ministro della pubblica amministrazione e d’intesa con il ministro dell’economia). Questo atto, da emanare entro 30 giorni dall’entrata in vigore della riforma, prevede la decadenza dall’incarico dei membri del Cnel e la nomina di un commissario straordinario cui affidare la gestione provvisoria. Il commissario ha il mandato di gestire il patrimonio dell’ente, compreso quello immobiliare, e di ricollocare i dipendenti presso la corte dei conti, in vista della definitiva soppressione.

Dunque a regime non saranno più da corrispondere le indennità ai membri del Cnel e cesseranno tutte le attività istituzionali legate alla sua attività. Restano invece invariati i costi per il personale (che sarà ricollocato alla corte dei conti) e, salvo diverse disposizioni future, quelli per il patrimonio e le strutture dell’ente, affidate alla gestione del commissario.

Seguendo questa logica, possiamo stimare i possibili risparmi dall’eliminazione del Cnel utilizzando il bilancio consuntivo del 2014, disponibile sul sito dell’ente. Tra le possibili economie derivanti possiamo inserire:

  • le spese per gli emolumenti dei membri del Cnel, pari a 1,87 milioni di euro;
  • le spese di rappresentanza (viaggi, partecipazione ad altri organismi ecc.), per poco meno di 400mila euro;
  • le spese per la missione istituzionale dell’ente (traduzioni ed interpreti, comunicazione istituzionale, spese derivanti da convenzioni stipulate ecc.), che valgono circa 430mila euro;
  • le spese per l’acquisizione di beni strumentali alla sua attività (abbonamenti a riviste, carburante, utenze telefoniche e altri servizi), pari a poco meno di 200mila euro.

In totale quindi i risparmi in diretta applicazione della riforma, così calcolati, varrebbero circa 2,9 milioni di euro.

Concludendo, la riforma produrrebbe risparmi certi – in quanto di diretta applicazione del testo della legge Boschi – per circa 86 milioni di euro l’anno. In questo totale sono stati contati, oltre alle economie di spesa per il Cnel appena visti, 40,5 milioni dalle indennità dei senatori, 9,2 milioni dalle loro diarie, 1,3 milioni dalle assicurazioni al senato e circa 32 milioni per i gruppi politici nei consigli regionali. Non abbiamo stimato una cifra dal tetto agli “stipendi” dei consiglieri regionali perché la norma è scritta in termini che non rendono chiaro se il tetto sarà applicato alle sole indennità o anche ai rimborsi.

Altre economie eventuali dipenderanno da come sarà applicata la riforma. Per esempio per i gruppi politici al senato e per i rimborsi dei senatori, sarebbe ragionevole una riduzione in proporzione al nuovo numero dei membri. Questa previsione produrrebbe ulteriori 30 milioni di risparmi: ma per ora non si può considerare certa e sarà rimessa alle future decisioni degli organi del senato.

Per approfondimenti: