Registro delle lobby alla camera, così serve a poco

La camera dei deputati ha reso consultabile l’elenco dei portatori di interesse ad oggi iscritti al registro delle lobby di Montecitorio. Un primo passo troppo timido per essere incisivo. Altri esempi più virtuosi esistono, vedi i casi dei ministeri guidati da Calenda e Madia, perché non seguirli?

Ad aprile del 2016 la giunta per il regolamento di Montecitorio ha iniziato un percorso per finalmente regolamentare la presenze delle lobby all’interno della camera. Una buona iniziativa visto che, come analizzato nel nostro MiniDossier di inizio anno “Vedo non vedo“, al momento nel nostro paese la materia non è normata. Un percorso, quello avviato dalla camera, che ha portato all’istituzione del registro dei rappresentanti di interesse nel marzo del 2017. Dopo quattro mesi di vita, Montecitorio ha reso possibile la consultazione del registro che ad oggi è composto da 54 rappresentanti di interesse. In totale sono state presentate 145 richieste d’iscrizione, ma gli uffici ne devono ancora completare l’esame.

L’azione portata avanti dalla camera, sotto forte spinta della presidente Laura Boldrini, è certamente un inizio, ma molte cose potevano essere fatte meglio. La pagina dedicata alla consultazione del registro è un elenco di schede per ogni struttura che si è registrata, con una serie di informazioni che sono certamente utili ma di difficile riutilizzo non essendo in formato aperto. Non solo, i campi di risposta per registrarsi sono liberi, rendendo l’utilità delle risposte molto discutibile. Solamente per fare un esempio alla domanda “soggetti che intende contattare” la maggior parte delle strutture ha scritto “deputati”, cosa relativamente ovvia considerando che si tratta di un registro delle lobby presso la camera.

Il punto principale è proprio questo: per fare trasparenza non basta pubblicare informazioni, se le informazioni che si pubblicano sono poco interessanti e soprattutto non riutilizzabili. Esempi virtuosi in Italia ce ne sono. A settembre del 2016 Carlo Calenda, ministro per lo sviluppo economico, ha lanciato un registro per la trasparenza nel suo dicastero, ispirato a quello delle istituzioni europee. A maggio del 2017 la ministra Madia (semplificazione e pubblica amministrazione) ha seguito l’esempio ed ha istituito un registro per il suo dicastero. Entrambi sono facilmente consultabili e la fase di registrazione è guidata con risposte suggerite. Questo non solo accompagna l’iscrizione ma assicura che le risposte fornite siano utili per una vera comprensione del fenomeno. Ovviamente come il registro europeo delle lobby, entrambi questi esempi hanno dei forti limiti, ma ciò nonostante sono quantomeno strutturati nel modo giusto per affrontare la materia. Non solo, entrambi i registri permettono di vedere “l’agenda” dei ministeri, ed è possibile leggere l’elenco degli incontri con le organizzazioni iscritte (con giorno e argomento discusso) del ministro Calenda e della ministra Madia. Informazioni anche disponibili per vice ministri, sottosegretari e i vari direttori generali.

Un’operazione vera di trasparenza poteva cercare di partire da esempi già virtuosi, anche se la cosa più inspiegabile è proprio che ogni istituzione agisce in maniera indipendente e autonoma. Anche il ministero dell’agricoltura ha un suo registro, ma è solo per i portatori di interesse che sono chiamati a partecipare a forme di consultazione con il dicastero. Sono necessarie linee guida nazionali, che siano da direttiva per tutte le istituzioni pubbliche nella creazione del proprio registro. La regolamentazione del legittimo lavoro dei portatori di interesse non deve essere nelle mani di singole iniziative politiche, il rischio è quello di trovare soluzioni estemporanee e limitate. 

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