Le donne nei posti di comando delle aziende quotate

In pochi anni sono arrivate a ricoprire il 30% degli incarichi: un balzo in avanti notevole, dovuto all’intervento normativo. Tuttavia si tratta in grande maggioranza di figure non esecutiveAncora rarissime le presidenti e le amministratrici delegate

Gli incarichi di amministratore ricoperti da donne nel 2016 hanno raggiunto per la prima volta la soglia del 30% nelle aziende italiane quotate in borsa. In pochi anni si passa da una presenza residuale nei board a una decisamente più notevole. Solo nel 2008 le poltrone occupate da donne negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate erano 170, il 5,9% del totale. In 8 anni gli incarichi femminili sono lievitati a 687, con un peso sul totale del 30,3%. Un balzo in avanti notevole e in tempi tutto sommato ristretti. Dovuto però a un preciso intervento normativo: la legge 120/2011, che per smuovere una situazione da sempre fortemente sbilanciata a sfavore delle donne ha introdotto obblighi precisi per le società quotate.

Da allora l’aumento delle presenze femminili è stata costante. Tuttavia a crescere sono per lo più i ruoli non esecutivi, cioè di controllo sul management dell’azienda. Nel 68,56% dei casi si tratta di amministratrici indipendenti: figure non legate ai dirigenti esecutivi o agli azionisti, chiamate a vigilare nel solo interesse della società. Man mano che si sale al vertice le donne diminuiscono: appena il 3% delle figure femminili è presidente o presidente onorario, solo il 2,47% è amministratrice delegata. Cioè in termini assoluti le donne ceo sono solo 17 in tutto e sono alla guida di aziende a bassa capitalizzazione e che in tutto raccolgono l’1,7% del valore di mercato di tutte le aziende esaminate dalla Consob.

La situazione appare dunque per molti versi simile a quella osservata nella politica.

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