Il buio sulle spese dei partiti per il referendum costituzionale

I partiti, da destra a sinistra, sono stati impegnati per mesi nella campagna elettorale, ma qual è stato l’investimento economico? A oggi non si sa. Anche perché non ci sono chiari obblighi di rendicontazione per questo tipo di consultazione. E quelli previsti per altro spesso non sono rispettati.

Come succede per ogni campagna elettorale, anche il referendum costituzionale del 4 dicembre ha avuto le sue settimane di comizi nelle piazze, dibattiti nei talk show, manifesti e spot nelle città e sui mezzi di comunicazione. I comitati per il no e per il sì hanno girato il paese in lungo e in largo, mettendo su una macchina propagandistica e organizzativa non indifferente. E che ha avuto un costo.

Per altri tipi di elezioni, per esempio le politiche, la legge prevede precisi momenti di rendicontazione delle spese. Entro tre mesi dalla proclamazione i membri del parlamento sono tenuti a depositare presso l’ufficio di presidenza una dichiarazione delle spese sostenute per la campagna elettorale. Un obbligo che risale alla legge n. 441 del 1982 e che riguarda anche la situazione patrimoniale e reddituale dei politici eletti. Con il progetto patrimoni trasparenti abbiamo lavorato a una effettiva apertura di questi dati, sottolineando gli aspetti deboli o “trascurati” di quella e successive normative a favore della trasparenza. La confusione nelle dichiarazioni dei singoli e l’opacità della parte sostenuta dai partiti non permette di avere un quadro chiaro e completo, ma possiamo dire che almeno alcune regole ci sono.

Per i referendum non esistono chiari obblighi di rendicontazione ed è ancora più difficile farsi un’idea, anche vaga, delle spese sostenute dai vari comitati. Stiamo parlando delle spese per la campagna elettorale e non di quelle per lo svolgimento della tornata, che sono a carico dello stato.

A oggi per esempio né il comitato per il noquello per sì hanno pubblicato qualche forma di rendiconto delle spese sostenute. Sappiamo però che il diritto a incassare esiste:  i comitati promotori per i referendum costituzionali che hanno depositato 500.000 firme hanno diritto in automatico a un rimborso da parte dello stato, per un massimo di 500.000 euro.

Per ora non è dunque possibile sapere quanto è stato speso, ma è possibile raccogliere alcuni dettagli per via indiretta. I gruppi parlamentari del senato devono pubblicare su base quadrimestrale gli estremi (data, importo, causale) dei propri mandati di pagamento, assegni e bonifici bancari. Spese che vengono rimborsate con il contributo annuale che i gruppi politici ricevono da Palazzo Madama per portare avanti le proprie attività istituzionali. Un obbligo che permette di monitorare mese per mese l’andamento e la tipologia delle uscite dei singoli gruppi.

Fra gli schieramenti più puntuali nell’aggiornare i propri rendiconti c’è il Partito democratico. Proprio recentemente la compagine a Palazzo Madama ha pubblicato il report quadrimestrale di fine 2016, in cui spiccano le spese per iniziative sul referendum. Andando a ritroso con i rendiconti del secondo e primo quadrimestre, abbiamo ricostruito tutto il 2016 (consultabile qui).

Il gruppo parlamentare del Partito democratico ha rendicontato spese per 6,3 milioni di euro nel 2016. Tra le voci di spesa, quelle riconducibili alla campagna elettorale per il referendum costituzionale ammontano a 652.967,96 euro (il 10,32%). Dall’affitto delle sale, alle spese tipografiche, dalle inserzioni nella stampa locale alla produzione di video, la maggior parte delle uscite riguarda singoli eventi sul territorio. Fra le voci più considerevoli: la spedizione di materiale informativo per la campagna “Basta un sì”, costata circa 47 mila euro, e il pagamento di una società di consulenza di comunicazione per poco più di 66 mila euro. A scanso di equivoci, sottolineiamo che questa è la spesa dichiarata solo dal gruppo Partito democratico al senato, cifra che quindi non include quanto speso dal movimento alla camera, e soprattutto dal partito nazionale.

Gli altri gruppi a palazzo Madama o non utilizzano i fondi del gruppo per questo tipo di attività, oppure non le rendicontano allo stesso modo (o con lo stesso livello di trasparenza del Pd). Per completezza forniamo l’ultimo rendiconto degli altri gruppi: Forza Italia, Movimento 5 stelle, Area popolare, Misto, Per le autonomie, Al-a, Gal, Lega nord, e Conservatori e riformisti. Da notare che la maggior parte dei gruppi non aggiorna queste informazioni da mesi e a volte persino da anni. L’ennesima regolamentazione per la trasparenza che non viene monitorata dalle istituzioni competenti.

Per approfondire: