I tanti problemi del registro europeo delle lobby

I limiti dello strumento per regolare i portatori di interesse sono evidenti. I pochissimi controlli sulle informazioni inserite rendono la base dati spesso inutilizzabile e poco attendibile. Ma dagli errori si può partire, consapevoli di cosa evitare, per costruire un auspicabile registro italiano.

Il registro è uno strumento prezioso nello scenario europeo, ma da anni alcune organizzazioni come Alter-Eu e Transparency International si battono per rinnovarlo e potenziarlo, superando alcuni difetti evidenti. Per esempio l’iscrizione non è obbligatoria, e la base volontaria della registrazione è forse il suo più grande limite. Inoltre la definizione delle attività volte a influenzare i processi decisionali e legislativi dell’Ue risulta alquanto vaga, rendendo molto ampia la serie di soggetti che possono registrarsi.

Le organizzazioni che decidono di accreditarsi spesso compilano male il questionario, inserendo dati errati e mal interpretando le informazioni richieste. A questo proposito a settembre 2015 Transparency international ha presentato oltre 4.200 reclami per errori fattuali o numeri inverosimili nelle schede delle organizzazioni, tra cui oltre 3.800 iscritti che pagherebbero i propri lobbisti meno del minimo sindacale. Inoltre 114 organizzazioni affermano di avere almeno 100 lobbisti, un numero già molto elevato, mentre l’Università di Pavia ne dichiara addirittura 1.904. Altro esempio: 90 organizzazioni sostengono di spendere oltre 1 milione di euro per le attività di lobbying, una cifra quantomeno dubbia.

È evidente che i controlli sulle informazioni inserite sono troppo blandi, probabilmente perché lo staff dedicato si conta sul palmo d’una mano, come sottolinea Alter-Eu. A ulteriore esempio si può citare l’Università dell’Aquila. A settembre del 2016 – quando è stata raccolta la base dati per il MiniDossier “Vedo e non vedo” dalla piattaforma di Transparency international “Integrity watch” – l’ateneo compariva nel registro e dichiarava 10 milioni di euro spesi annualmente per attività di lobbying. Un’informazione evidentemente errata, che in seguito è stata rimossa e al momento non è più visibile. Una situazione che genera molta confusione. Inoltre la mancanza di un database storicizzato rende ancora meno efficace l’azione di trasparenza della materia.

 

Ma nonostante gli evidenti problemi, il registro per la trasparenza è comunque un punto di partenza, per due motivi. Innanzi tutto perché tenere presenti i suoi difetti sarà di certo utile per realizzare un futuro registro italiano. E poi perché nonostante tutto, la mole di dati e informazioni disponibili permette quantomeno di monitorare il fenomeno. Cosa che in Italia è impossibile.

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