Ancora poco usate le misure alternative al carcere

L’Italia è ultima, tra i grandi paesi europei, nel ricorrere a modi diversi di scontare la pena o parte di essa. Le criticità sono molte ed è ancora da capire se queste misure verranno usate come strumento per facilitare il reinserimento sociale o solo per ridurre il sovraffollamento.

Negli ultimi anni il legislatore ha cercato di incentivare ed estendere l’uso delle misure alternative al carcere. La legge 199 del 2010 ha dato la possibilità di passare alla detenzione domiciliare per coloro che hanno una pena residua inferiore ai 18 mesi. In seguito altre riforme, ultima la legge 67 del 2014, hanno potenziato i lavori di pubblica utilità al posto del carcere. Il grafico mostra gli effetti delle nuove norme sul sistema penitenziario italiano.

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Hanno registrato una crescita istituti come l’affidamento in prova al servizio sociale (il condannato sconta parte della pena fuori dal carcere, ancora sotto il controllo del sistema penitenziario, ma aiutato a reinserirsi) e i lavori socialmente utili (una sanzione alternativa alla detenzione per i reati minori: anziché scontare la pena in cella, si ripaga la società del danno fatto lavorando gratuitamente per organizzazioni di volontariato o per enti pubblici).

Nonostante una crescita importante, vanno segnalati due aspetti. In primo luogo, l’Italia resta ultima tra i grandi paesi europei per utilizzo delle misure alternative. In tutti i grandi paesi Ue, eccetto il nostro, viene privilegiata la pena fuori dal carcere e la maggior parte
dei condannati viene destinata a misure alternative attraverso le cosiddette sanzioni di comunità, come i lavori socialmente utili. Il principio è che le misure alternative permettono, alla fine della condanna, un reinserimento più facile nella vita civile.

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Mentre in Italia la maggioranza dei condannati finisce in carcere (55%), in Germania sono solo il 28%, il 30% in Francia, il 36% in Inghilterra e Galles e il 48% in Spagna.

Un altro dato da considerare è che queste misure extracarcerarie spesso si riducono a una sanzione alternativa più che a uno strumento effettivo di rieducazione. È il caso dei lavori di pubblica utilità, cui si ricorre quasi esclusivamente (94%) per i reati del codice della strada.

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In sintesi, il nostro legislatore ha incentivato molto l’utilizzo delle misure alternative. Resta da capire se questa operazione aiuterà a ridurre davvero il tasso di recidiva, accompagnando il condannato verso un percorso di rieducazione, oppure resterà solo misura per ridurre la popolazione carceraria.

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