Come incassare i rimborsi per i referendum

La riforma Letta, cioè la legge 13 del 2014, ha abolito i rimborsi per le elezioni politiche, europee e regionali. Ma ha lasciato invariata la normativa che permette ai comitati referendari di ricevere un rimborso una tantum per i referendum promossi. Ecco come funziona.

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Per cominciare, in base alla legge che regola i referendum (la 352/1970), un comitato si costituisce in corte di cassazione, depositando una richiesta di referendum abrogativo. Ma questo è solo il primo passo. Sul quesito che è stato depositato, devono essere raccolte le firme di almeno 500mila elettori. Una volta raccolte, queste vengono depositate in cassazione, per passare un duplice controllo.

Il primo è il controllo di legittimità dell’ufficio centrale per i referendum, che valuta unicamente se il quesito è tecnicamente corretto e può essere sottoposto al voto degli elettori. La corte costituzionale invece esprime un giudizio di ammissibilità, stabilendo se il merito del referendum è conforme al dettato costituzionale, che vieta questo strumento “per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali” (art. 75).

Raccolte le firme e passati controlli, viene indetto il referendum. Se non viene raggiunto il quorum, cioè se non va a votare almeno la metà più uno degli aventi diritto, il referendum non ha nessun effetto. Se invece viene raggiunto, il comitato promotore ha diritto di richiedere il rimborso.

È la presidenza della camera a disporre il rimborso, che la legge stabilisce in 1 euro per ogni firma valida raccolta, fino a un massimo di 500.000 euro per ogni referendum, erogati in un’unica soluzione. Nel caso in cui nello stesso anno si tengano più referendum, l’esborso per lo stato non può comunque superare i 2.582.285 di euro totali.

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