L’affluenza alle urne nei paesi dell’Unione europea

Confrontare la partecipazione elettorale nei paesi europei è molto complicato a causa di leggi e sistemi elettorali diversi. Tuttavia alcuni dati possono essere indicativi: dal voto alle elezioni comunali delle principali capitali Ue, alle elezioni del parlamento europeo.

Le amministrative 2016 si sono svolte. E anche stavolta si è parlato molto di affluenza. Un argomento che da anni coincide con le diverse tornate elettorali. Ma quanto si vota negli altri paesi dell’Unione Europea? È possibile fare un confronto? Che trend possiamo individuare? È un “problema” solo italiano?

Un primo tipo di confronto può essere fatto sulle elezioni comunali. Prendendo Roma come esempio italiano di riferimento, abbiamo confrontato il dato dell’affluenza con quello delle principali capitali europee nelle ultime tornate per l’elezione del sindaco: Berlino, Londra, Madrid e Parigi.

In realtà è un confronto basato sui numeri è molto complicato, non tanto per la reperibilità dei dati, ma per le diverse leggi elettorali. Per esempio in Francia il diritto di voto non è legato solo al compimento della maggior età, ma anche all’essersi iscritti alle liste elettorali. 

Tuttavia alcuni numeri sono comunque utili per capire cosa succede in alcuni paesi del vecchio continente. Delle ultime elezioni comunali/municipali, la tornata che ha fatto registrare la più alta partecipazione dei cittadini è stata quella per eleggere il sindaco di Madrid nel 2015. Votò il 68,90% del corpo elettorale (ben oltre il 57,02% del primo turno di Roma quest’anno). Quattro anni prima, sempre a Madrid, la percentuale era del 67,22%.

A Berlino nel 2011 votò il 60% della popolazione, 5 anni prima la percentuale era del 58%. Più basso del dato romano quello di Parigi, anche se qui la distanza non è eccessiva. Nel 2014 al primo turno l’affluenza fu del 56,27%, nel 2008 del 56,93%.

Discorso a parte merita Londra. Come in generale nel mondo anglosassone, nella capitale del Regno Unito il tasso di partecipazione al voto è spesso molto basso, evento considerato segno di una democrazia “matura”. Sia nelle recenti elezioni, che in quelle precedenti del 2012, ha votato meno della metà della popolazione. L’elezione di Sadiq Khan il 6 maggio scorso ha portato alle urne il 45,30% dei cittadini londinesi, e 4 anni prima, quando Boris Johnson fu eletto per la seconda volta, la percentuale era del 38%.

Proprio per la diversa natura delle tornate elettorali considerate (a Berlino i cittadini eleggono un “parlamento”, che poi a sua volta elegge il sindaco), è forse più utile confrontare il dato dell’affluenza su elezioni che hanno regole più o meno uniformi. Il caso più evidente riguarda il parlamento europeo, che è stato rinnovato nel maggio del 2014. In Italia il dato dell’affluenza è passato dal 65,05% del 2009, al 57,22%, scendendo per la prima volta sotto la soglia del 60%.
Nonostante questo, il nostro paese ha registrato comunque il quinto dato dell’affluenza più alto in Europa. Meglio di noi hanno fatto solo Belgio (89,64%), Lussemburgo (85,88%), Malta (74,80%) e Grecia (59,97%). In tre di questi quattro paesi votare è però obbligatorio.

Il ciclico allarmismo per il costante calo dell’affluenza è dunque da una parte giustificato (vista la tradizione di alta partecipazione elettorale del nostro paese), ma il dato va comunque contestualizzato e messo in relazione a una situazione più generale che vede, per diversi motivi, un livello di partecipazione alle elezioni da parte dei cittadini in calo, o comunque mediamente basso.

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