Parlamentari transfughi, i segnali di dissenso prima dell’uscita

Il fenomeno dei cambi di casacca coinvolge tutti i partiti in parlamento, sia alla camera che al senato. Ma quali sono (se ci sono) i segnali di dissenso prima dell’uscita dal gruppo di appartenenza? A giudicare dai voti pre-cambio, spesso prima del divorzio sono tutte rose e fiori.

Il voto è forse lo strumento migliore per capire il reale significato di un cambio di gruppo. Lo è per due motivi: da un lato permette di misurare il comportamento del fuoriuscito prima del cambio, per vedere se ci fossero o meno segnali della rottura; dall’altro dà la possibilità di collocare meglio i tanti transfughi che successivamente al cambio si sono “parcheggiati” nel gruppo Misto.

Raramente il parlamentare che cambia gruppo mostra segnali di dissenso prima dell’uscita. Alla camera di solito la sua percentuale di voti ribelli è pari o addirittura sotto la media dell’aula. Solo i fuoriusciti da Scelta civica e Forza Italia avevano una media di voti ribelli più alta degli altri deputati. Va però segnalato che quest’analisi non permette di contare il dissenso espresso non partecipando alle sessioni di voto. È il caso per esempio degli ex Pd Civati e Pastorino, che nei mesi precedenti all’uscita spesso non hanno partecipato a votazioni chiave, come il voto finale sulla legge di stabilità 2015

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Al senato il dato dei voti ribelli evidenzia che prima di cambiare gruppo il parlamentare non tende a votare in disaccordo con la formazione di partenza. Solo i fuoriusciti di Forza Italia, infatti, avevano una media di voti ribelli pre-uscita superiore a quella dei loro colleghi di aula. Per il resto i transfughi hanno votato quasi sempre in linea con il proprio gruppo, tanto che la loro percentuale di voti ribelli risulta inferiore alla media del senato.

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