Ministri del governo: nomina e revoca, la prassi in Italia

Il caso Guidi ha alzato un polverone politico che ha riempito le prime pagine dei giornali. Ma se è il presidente della Repubblica, su proposta del premier, che nomina i ministri, come funziona la loro uscita di scena? Si può revocare un ministro? È mai successo?

Dopo Lanzetta, Mogherini e Lupi, quelle di Federica Guidi sono le quarte dimissioni presentate da un ministro del governo Renzi. Il processo che porta alla nomina di un ministro è chiaro, ed è regolato dall’articolo 92 della costituzione:

Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.

Quello su cui però la nostra carta costituente fa poca chiarezza è come si possa revocare un ministro. Perché se da un lato è evidente che è il primo ministro a individuare le figure a capo dei singoli dicasteri,non c’è traccia del potere di “dimissionarli”. Si tratta un punto su cui si sono soffermati in molti, sia del mondo politico che del mondo accademico, ma che formalmente rimane irrisolto, anche perché non è mai successo che un primo ministro revocasse un ministro. La cosa che più si avvicina al fenomeno sono i rimpasti di governo, con dimissioni “forzose” da parte dei ministri uscenti.

Ma se un ministro costituzionalmente non può essere revocato dal premier, come può essere costretto a terminare anticipatamente il suo incarico? Com’è noto esiste nel nostro ordinamento lo strumento delle sfiducia.

Articolo 94 – costituzione italiana – Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

Ancora una volta la nostra costituzione non è chiara sull’ammissibilità dei voti di sfiducia nei confronti dei singoli ministri, ma in pratica esistono per la responsabilità che li lega individualmente agli atti dei loro dicasteri (art. 95). Una possibilità confermata dalla sentenza numero 7 della corte costituzionale del 1997; il pronunciamento era stato invocato da Filippo Mancuso, ministro della giustizia sotto il governo Dini, sfiduciato dalla maggioranza nel 1995 (primo caso della storia repubblicana). Inoltre è utile ricordare che in seguito alla prima mozione di sfiducia presentata (nel 1984 contro l’allora ministro degli esteri Andreotti), nel 1986 il regolamento della camera nell’articolo 115 fu modificato per includere quest’eventualità. La riforma precisò che la disciplina di sfiducia al governo “si applica alle mozioni con le quali si richiedono le dimissioni di un Ministro“.

Per approfondimenti: