Il sottile confine fra attività parlamentare e attività di partito

Come abbiamo già visto nel MiniDossier “Paga pantalonei contributi ai gruppi parlamentari diventano sempre più importanti per le economie dei partiti. L’esempio del manifesti Pd in giro per l’Italia, pagati con i fondi del movimento alla camera e al senato.

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Con la progressiva fine dei rimborsi elettorali, i partiti politici italiani scoprono nuovi modi per sbarcare il lunario. Il principale sembra essere quello dei contributi che ogni anno camera e senato stanziano per i gruppi parlamentari.

I due rami infatti, come riportato nel MiniDossier “Paga pantalone”, stanziano rispettivamente 32 e 21,3 milioni di euro l’anno per i gruppi parlamentari. Il totale da inizio legislatura è di 106,7 milioni di euro. Questi soldi sono vincolati a scopi istituzionali, così definiti dal regolamento del senato:

I contributi a carico del bilancio del Senato complessivamente erogati in favore dei Gruppi parlamentari, come determinati e definiti in base alle deliberazioni adottate dal Consiglio di Presidenza, sono destinati dai Gruppi esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all’attività parlamentare e alle attività politiche ad essa connesse, alle funzioni di studio, editoria e comunicazione ad esse ricollegabili, nonché alle spese per il funzionamento dei loro organi e delle loro strutture, ivi comprese quelle relative ai trattamenti economici del personale.

Da un lato quindi parliamo di denaro utilizzato per la quotidianità del gruppo, dall’altro di soldi che hanno lo scopo, tra le altre cose, di “pubblicizzare” l’attività portata avanti in parlamento.

Per esempio, grazie alla relazioni stilate dai gruppi stessi, sappiamo che buona parte dei fondi spesi dal gruppo Pd in comunicazione nel 2014 è stato impiegato per la partecipazione del gruppo alle varie feste de l’unità in giro per il paese. Discorso analogo per Fratelli d’Italia che sia nel 2013 che nel 2014 ha investito €6.000 per partecipare ad Atreju, festa nazionale dei movimenti giovanili di destra organizzato con Fratelli d’Italia.

Questi sono solo due esempi, se ne potrebbero fare tanti altri. Ma forniscono alcuni spunti interessanti, specie per cercare di capire quale sia il confine fra promozione dell’attività di partito e promozione dell’attività del gruppo. Confine molto sottile, che dopo l’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti, continuerà ad assottigliarsi.

È notizia di questi giorni la campagna di comunicazione del Partito democratico “#lavoltabuona“, con manifesti “firmati” dai gruppi parlamentari dem alla camera e al senato. Materiale che formalmente dovrebbe raccontare le “conquiste” dello schieramento nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama, ma che di fatto sancisce l’inizio della campagna elettorale per le amministrative del 2016.

Ancora una volta sembra evidente che il finanziamento pubblico alla politica non sia mai stato abolito. Sono stati aboliti (progressivamente) i rimborsi elettorali, ma ancora oggi l’attività politica dei partiti è principalmente finanziata dallo stato.

Tutto questo anche perché le nuove forme di finanziamento pubblico indiretto stentano a decollare. Per fare un esempio, con le dichiarazioni dei redditi del 2015 (su redditi 2014) il Partito democratico ha incassato poco più di 5,3 milioni di euro dal 2 x mille, nello stesso periodo i gruppi alla camera e al senato ne incassavano oltre 38.

Per approfondimenti:

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